La parola contro il silenzio

I ragazzi del liceo artistico hanno incontrato Vera Vigevani, una delle fondatrici delle Madres de Plaza de Mayo, che ha raccontato l'orrore vissuto in Argentina sotto la dittatura in cui furono uccisi 30mila desaparecidos

vera vigevani

Non vola una mosca. Gli studenti la ascoltano in silenzio, rapiti, scossi da quel racconto sereno, malgrado la drammaticità degli eventi narrati.

Davanti ad alcune decine di ragazzi del liceo classico di Varese c’è Vera Vigevani Jarach, che appartiene al movimento delle Madres de Plaza de Mayo fin dai primi mesi della sua fondazione. Milanese di nascita, a dieci anni, come tanti altri ebrei, dovette lasciare l’Italia nel 1939 ed emigrare in Argentina perché le leggi razziali le impedivano di andare a scuola e di avere una vita normale. In Argentina sposò Giorgio Jarach e ha lavorato come giornalista all’ANSA di Buenos Aires.
A Vera piace definirsi “una militante della memoria”. In questi anni ha attraversato l’Italia in lungo e in largo raccontando l’orrore dei sette anni di dittatura in Argentina. Sua figlia Franca è tra i 30mila desaparecidos, persone arrestate, torturate e poi uccise solo perché chiedevano per il proprio paese un mondo diverso, più giusto. Franca aveva 18 anni quando scomparse il 26 giugno 1976 e di lei non si seppe più nulla fino a poco tempo fa.  Poi una donna che era sopravvissuta al campo di concentramento dell’ESMA raccontò tutto a Vera: «Ho aspettato per un anno che mi parlasse – ha detto la scrittrice – perché non voleva ricordare, aveva visto cose terribili e voleva rimuovere tutto. Le ho chiesto se avevano torturata mia figlia ma non mi ha risposto. La detenzione di Franca durò pochissimo. A un mese dal suo arresto lei e molti altri vennero eliminati per far posto a coloro che sarebbero arrivati. Nel mio caso non c’è alcuna speranza di ritrovare neanche il suo corpo, mia figlia è stata buttata giù da un aereo, buttata a mare».

Vera conosce i giovani. Le da forza stare in mezzo a loro. Le si sprigiona un’energia che annulla la grande differenza di età con i tanti studenti e ragazzi che incontra.
«Oggi in Argentina c’è un risveglio della partecipazione politica dei giovani. È una grande novità e ci fa sperare per il futuro. A noi – racconta Vera – interessa far conoscere quali erano gli ideali dei nostri ragazzi. In quegli anni ci furono anche sbagli, ma la reazione fu un terrorismo di stato. Oggi noi assistiamo a tanti processi perché la giustizia e la verità sono importanti».

Il popolo argentino non ha mai voluto farsi giustizia da sé. «La violenza e la vendetta non servono. Noi vogliamo solo giustizia perché serve far memoria per costruire una propria identità». Le ferite nella vita di Vera sono profonde e le cicatrici lasciano il loro segno. Racconta di una doppia
tragedia della sua famiglia. «Mio nonno, a differenza di mia mamma, non volle abbandonare subito l’Italia e quando si decise fu troppo tardi. Venne arrestato e morì ad Auschwitz.Non abbiamo mai potuto avere il suo corpo. Trentacinque anni fa, la stessa sorte è toccata alla mia Franca uccisa dalla dittatura. In Argentina, a differenza del Cile, la repressione agì cercando di far sparire ogni traccia delle vittime. Ci provarono anche con i corpi gettandoli nei fiumi, nell’oceano, o buttandoli in fosse comuni.  Ancora oggi continuano ad affiorare resti di persone scomparse».

L’incontro nella scuola di Masnago, organizzato dal vulcanico Martin Stigol, de La zattera, è stata anche l’occasione per presentare “Il silenzio infranto”, un libro che racconta “il dramma dei desaparecidos italiani in Argentina”. Un lavoro importante di ricostruzione di diverse storie raccolte da Carla Tallone e la stessa Vera Vigevani Jarach.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 16 Novembre 2011
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