Comuni senza un euro, proviamo a capire perché

Lunga chiacchierata in due puntate con Antonio Conte, per anni importante funzionario di Palazzo Estense, che ha vissuto e seguito i mutamenti dettati da riforme e cambi in corsa

Per i Comuni, con eccezioni per le regioni a statuto speciale, c’erano un tempo norme che imponevano comportamenti amministrativi uguali per tutti, poi arrivarono modifiche e adeguamenti legati a nuove necessità con il risultato anche di rendere più difficili valutazioni in parallelo, confronti in ordine alla gestione della cosa pubblica tra città    di uguale importanza, tra di loro vicine e appartenenti alla stessa regione e alla stessa provincia. Antonio Conte, per un lungo arco temporale importante funzionario, anzi colonna di Palazzo Estense, ha vissuto e seguito questi mutamenti. Lo ha fatto dai giorni in cui, erano gli Anni 60, le Giunte comunali per rispetto versi gli elettori e se stesse compivano ogni possibile sforzo per presentare bilanci rigorosi, per arrivare ai tempi nostri che vedono i consigli comunali titolari di soli compiti di programmazione e controllo, essendo stati privati di gran parte delle funzioni decisionali in punto di amministrazione attiva, assegnate dalla legge, anche con qualche lodevole intenzione di sveltimento dei tempi, alle Giunte e soprattutto ai Sindaci. Anche l’introduzione della dirigenza locale, dotata almeno sulla carta di notevoli poteri, ha contribuito al rimescolamento dell’ordinamento dei Comuni , senza contare le conseguenze della più ampia possibilità di ricorrere a consulenti esterni e di “esternalizzare” parte dei servizi comunali.
Una vera rivoluzione non bene recepita o conosciuta e valutata dai cittadini e quindi oggetto di polemiche roventi in tempo di vacche magre.
 
Anche se ha lasciato il servizio attivo da un quinquennio, dottor Conte, può fare il punto sulla situazione odierna e comunque sottolineare le scelte di questi anni che non hanno corrisposto, secondo lei, alle attese dei riformatori e dei cittadini?
«Gli ultimi quarant’anni hanno visto il varo di numerose e importanti riforme, che per motivi di spazio accenno solo per sommi capi: la riforma sanitaria, l’attuazione dell’ordinamento regionale, la riforma tributaria, quella dell’ordinamento comunale e provinciale, l’elezione diretta dei Sindaci e dei Presidenti delle Province. A mio giudizio, non tutte hanno prodotto risultati positivi, ma quella che ha maggiormente danneggiato i Comuni (soprattutto i più virtuosi) è stata la riforma fiscale, che- abolendo i tributi locali (imposta di famiglia e altri)- ha praticamente azzerato i pochi margini di autonomia preesistenti, che già non erano granché. Ricevendo la massima parte dei finanziamenti dal governo centrale, gli amministratori locali non si sono sentiti assoggettati a quel sano controllo dei cittadini,sull’uso di queste risorse, che è tipico delle situazioni in cui le risorse stesse vengono prelevate direttamente sul territorio da coloro che lo amministrano. Vi sono anche altri motivi di delusione, ma il discorso si farebbe troppo lungo». 
 
2) Quali correttivi oggi potrebbero giovare alla gestione di un Comune?
«Un buona soluzione mi era sembrata quella del cosiddetto federalismo fiscale, purtroppo fallita per l’incapacità delle forze politiche di governo (in primis di quella che ne aveva fatto la propria bandiera…) di concordare un testo serio, concreto e rapidamente attuabile, senza contare lo stop bruscamente imposto dal sopraggiungere della gravissima crisi economica e del successivo cambio di governo. Visto come sono andate le cose, mi fanno sorridere amaramente i cori di entusiasmo con cui nel 2008 venne accolta dai più l’abolizione dell’ICI, in verità unico tributo comunale autenticamente federalista in quanto prelevato e speso sul territorio: non viene proprio a nessun altro un po’ di nostalgia dell’ICI, visto quello che sta succedendo con la nuova IMU?».
 
3) Sono stati anni di progresso tecnologico, sono state affrontate nuove necessità ed emergenze, non è possibile fare confronti con il passato, ma una delle polemiche più aspre oggi è causata dagli organici della pubblica amministrazione. Sono fondate?
«Se per pubblica amministrazione si intende quella complessiva, che comprende quindi anche lo Stato e le Regioni, le critiche sono indubbiamente fondate. Non lo sono invece se rivolte in particolare, sparando nel mucchio, ai Comuni e alle Province: fatta eccezione per qualche regione a statuto speciale e per determinate zone del sud, gli organici degli enti locali non sono marcatamente sovradimensionati, anche perché gli specifici controlli del passato, prima statali e poi regionali, sulle cosiddette piante organiche hanno efficacemente contribuito ad impedire eccessi e abusi. Anche dopo la soppressione di tali controlli esterni, gli enti locali hanno incontrato ostacoli molto rilevanti nell’obbligo di presentare e mantenere in pareggio i propri bilanci, talché eventuali eccessi nelle assunzioni di personale in esubero hanno comportato inevitabilmente corrispondenti risparmi nei beni e servizi, cioè nelle attività che interessano più da vicino i cittadini. E qui si potrebbe aprire un delicato discorso sul doveroso controllo della comunità sui propri amministratori».
 
4) E’ comunque un fatto, accade anche a Varese, che   buona parte di un bilancio comunale sia destinato agli stipendi dei dipendenti: qualcosa non funziona almeno nel rapporto con lo Stato, con il legislatore?
«Effettivamente il personale incide in misura rilevante sul complesso delle spese dei Comuni (mediamente si va dal 25-30 al 40-50 per cento), ma il problema non riguarda tanto il rapporto con lo Stato e il legislatore in sé, quanto la gestione delle risorse disponibili da parte dei singoli enti locali. Il discorso si fa complesso perché anche il Comune più virtuoso deve rendere servizi indispensabili alla comunità amministrata e questo lo può fare o in economia diretta con personale dipendente ovvero affidando i servizi alla propria azienda municipalizzata oppure ad una propria società partecipata o ancora ad un soggetto privato previa gara pubblica. La scelta concreta operata dal Comune avrà dunque conseguenze diverse sul bilancio, nel senso che la gestione in economia diretta graverà sulla spesa per il personale, mentre il ricorso comunque ad altri soggetti come sopra individuati andrà a gravare sulla spesa per beni e servizi, quindi con minor carico sulla spesa del personale. Stabilire a questo punto quale Comune è più virtuoso diventa difficile, perché si raffrontano dati non omogenei e pertanto ci si dovrà riferire al dato complessivo di bilancio e all’indice di gradimento dei servizi espresso dai cittadini». 
 
5) L’introduzione nell’apparato comunale degli staff di dirigenti, che svolgono compiti certamente importanti avendo essi assunto ruoli di notevole responsabilità, certamente garantisce i politici e i cittadini in maggior misura rispetto al passato, però sembra rallentare l’attuazione dei programmi di una Giunta. Cosa ne pensa?
«Non ritengo che la presenza dei dirigenti o di personale direttivo di staff possa, in una situazione fisiologica, rallentare- o addirittura mettere in forse- l’attuazione dei programmi di una Giunta: al contrario, sono convinto che la collaborazione di dirigenti e quadri, nonché dell’intero personale comunale, sia un presupposto ineludibile perché i programmi dell’organo di governo politico possano trovare una efficace e rapida attuazione. Il problema riguarda qualità e professionalità dei collaboratori: se non sono all’altezza, la responsabilità è di chi li ha scelti e di chi, volta che ne sia accertata l’inefficienza, li mantiene in servizio».

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Pubblicato il 23 Aprile 2012
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