Con il mio lavoro mantengo 6 persone in India
Abul Hussain lavorava in un'azienda tessile, la crisi lo ha lasciato senza lavoro. Da sette mesi aspetta la mobilità che non gli è stata ancora riconosciuta. «Con 50 euro pago un mese di scuola a mio fratello»
Cinque anni fa Abul Hussain era a Nuova Delhi, in India, con i suoi genitori, tre fratelli e una sorella. Poi, a luglio del 2008, ricevette il nulla osta e il permesso di soggiorno dall’Italia ed è arrivato a Gallarate, dove vive tuttora. La sua famiglia è rimasta in India, la bottega alimentare del padre è fallita, sua madre si è ammalata, mentre i suoi fratelli hanno continuato a studiare.
Abul comincia a lavorare come addetto alle pulizie in alcune case, poi trova un lavoro a tempo determinato in un’impresa tessile, la Tmp, come apprendista. Dai 750 ai 900 euro di stipendio: ci paga le bollette, le tasse, si compra i beni di prima necessità. Quello che avanza lo spedisce in India, perché in famiglia nessuno lavora. «Mio padre ha 60 anni, non percepisce la pensione. Mia madre ha bisogno di cure mediche, e anche se in India esiste la sanità pubblica, io pago dei dottori privati, perché i tempi degli ospedali gratuiti sono troppo lunghi, significherebbero la morte dei pazienti».
Otto mesi fa il suo contratto è scaduto e Abul ha fatto domanda per la mobilità in deroga. Nel 2010 in Lombardia sono state migliaia le domande di mobilità, e dopo sette mesi dalla richiesta, ad Abul non è arrivata nessuna risposta. «Abito con cinque amici, perché dobbiamo fare fronte alle spese, che qui in Italia sono molto alte. Elettricità, gas, cibo. Chi dei sei lavora aiuta gli altri, che a loro volta ricambieranno i prestiti quando troveranno lavoro».
Si arrangiano come possono, lui indiano e i suoi amici dal Bangladesh e dal Pakistan, in una zona che secondo i dati della Cgil è, assieme a Busto Arsizio, la più colpita dalla crisi. «L’impresa aveva troppo poco lavoro, e non mi ha rinnovato il contratto. Come posso mangiare se non prendo lo stipendio o la mobilità in deroga?».
Ad Abdul interessa lavorare per aiutare la sua famiglia e anche migliorare la qualità della sua vita. «Per questo sono venuto in Italia. Il lavoro è sacro. Anche lo stipendio, seppur basso, ha un grande valore. Se in Italia con 50 euro puoi uscire a mangiare una sera al ristorante, in India io pago un mese di scuola a mio fratello».
E si finisce a parlare di futuro: «Il mio – conclude Abul – dipende da quello dei miei fratelli. Spero che possano cominciare a lavorare al più presto, in modo da aiutare mamma e papà. Io ho solo 25 anni, voglio costruirmi una vita migliore di quella che avrei potuto avere nel mio paese».
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