Le colpe dei capi
Alessandro Alfieri, Vice Segretario del Partito Democratico della Lombardia e Consigliere regionale del Pd analizza la situazione politica all'indomani dello scandalo che ha coinvolto i vertici della Lega Nord
Se qualcuno pensa che la Lega sia in difficoltà solo per la sua sventurata gestione familistica, sbaglia. E se ritiene di doverla sfidare unicamente su quel terreno, sbaglia una seconda volta.
Le vicende di questi giorni rappresentano il detonatore di un disagio che cova da tempo nella base leghista: i risentimenti personali si saldano alla frustrazione per le scelte politiche non condivise. Come i tanti bocconi amari ingoiati per prolungare l’esistenza del governo Berlusconi (e dei suoi ministri, quelli leghisti compresi).
La Lega va inchiodata alle proprie responsabilità politiche. Per non aver risposto concretamente alle domande del nord del Paese: una più equa distribuzione delle risorse fra i diversi livelli di governo, una maggiore semplificazione nel rapporto con la pubblica amministrazione, un sostegno nella competizione internazionale promuovendo investimenti in infrastrutture e aiuti all’export. La “questione settentrionale” è ancora lì.
Certo, i fatti emersi in questi giorni sono a dir poco sconcertanti. Un colpo durissimo per chi ha inveito per anni contro “Roma ladrona”. Non bastasse, si assiste ad un vero e proprio cortocircuito in casa Lega. L’operazione “pulizia “ invocata da Maroni sembra essere a senso unico. Renzo Bossi, formalmente non indagato, annuncia le sue dimissioni da Consigliere Regionale travolto dalle confessioni di autisti e segretarie. Davide Boni invece, indagato per corruzione, rimane aggrappato al suo scranno di Presidente del Consiglio Regionale e non sembra intenzionato a nessun passo indietro. Assolto dal “tribunale di Via Bellerio”.
In questo caso, come in tutti questi anni, le scelte politiche sono state condivise da Bossi, Maroni e Calderoli. L’occupazione degli incarichi e dei posti di potere è stata praticata dal leader quanto dai suoi colonnelli in maniera sistematica: dai ministeri alle partecipazioni statali, dalle società regionali alle ex municipalizzate. Che Renzo Bossi possa essere il capro espiatorio di tutto questo ci credono in pochi. Che Roberto Maroni possa essere il salvatore della patria (padana) ci crede qualcuno in più.
Ecco perché il Partito Democratico farebbe bene ad evitare accreditamenti avventati o, peggio, distinzioni tra buoni e cattivi nel campo avverso; rilanciando invece la sfida – tutta politica – sui temi della questione settentrionale. A partire dall’attuazione del federalismo. Passate le polemiche di questi giorni, le elezioni amministrative sono il primo banco di prova per declinare in chiave locale questa sfida. Non sprechiamo l’occasione.
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