“Quando io e Falcone denunciavamo la mafia al nord”

Giuseppe Ayala, membro storico del pool antimafia di Palermo coordinato da Giovanni Falcone, ha parlato delle organizzazione mafiose agli studenti del liceo Cairoli

«Quando io e Falcone denunciavamo l’infiltrazione della mafia al nord era la fine degli anni ’80, ma venimmo accusati di essere dei burloni». Giuseppe Ayala, magistrato del pool antimafia di Palermo insieme a Giovanni Falcone, ha raccontato agli studenti delle classi terze del liceo Cairoli la sua esperienza di lotta alla mafia sia come magistrato che come politico. Recentemente ha dato alle stampe il suo ultimo libro dal titolo "Troppe coincidenze" nel quale tratteggia, servendosi anche delle ultime inchieste della Procura di Caltanissetta sulla strage di via D’Amelio nella quale morirono Paolo Borsellino e la sua scorta, il quadro di quegli anni burrascosi che intercorsero tra la fine della Prima Repubblica sotto i colpi di Tangentopoli e l’inizio dell’era berlusconiana: «Oggi, grazie alle nuove verità emerse e sgombrato il campo dai depistaggi, stiamo riscrivendo quegli anni tra il ’92 e il ’94 sotto una nuova luce».

Ayala non dà una risposta definitiva sul come sia stato possibile passare dalle stragi nelle quali morirono Falcone e Borsellino, alle bombe mafiose di Roma, Firenze e Milano fino alla pax mafiosa che arrivò improvvisamente nel ’94 ma ne fornisce tutti gli elementi: «Qualcosa avvenne in quegli anni – racconta – oggi sappiamo anche che ci fu una trattativa tra pezzi dello Stato e la mafia. Una risposta definitiva potrà darla certamente la storia e, si spera, anche la giustizia». Ayala ricorda anche che siamo il paese delle stragi senza colpevoli, come ancora oggi è per piazza Fontana e piazza Della Loggia, ma sul capitolo mafia si sta facendo qualche passo avanti «anche grazie alla seria professionalità dei magistrati di Caltanissetta».

Il magistrato, però, parla anche di come la lotta alla mafia oggi si debba spostare necessariamente dalle procure di confine come quelle siciliane o calabresi e campane, per toccare tutti gli strati della società al sud come al nord dove «ormai – dice – siamo oltre l’infiltrazione nell’economia per passare alla presenza in pianta stabile, a volte anche nella politica. Quando facemmo la legge per lo scioglimento delle amministrazioni colluse con le mafie pensavamo a Trapani, Reggio Calabria, la Campania mentre oggi succede anche in Liguria, Lombardia e Piemonte». Insomma la mafia non è stata sconfitta ancora e si serve dell’economia legale come se fosse uno scudo umano, facendo passare il messaggio che imprenditoria e criminalità siano ormai inscindibili ma, lo diceva Falcone, la mafia è qualcosa di umano e come tutti i fenomeni dell’uomo ha un inizio e una fine.

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Pubblicato il 28 Aprile 2012
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