Commercianti: “Ridateci le domeniche non siamo schiavi”
Due lettere con due oggetti diversi e la stessa sofferenza: i commercianti devono fare i conti con un mondo ormai globalizzato e senza regole. Sono state consegnate all'assessore regionale per il Turismo e il Commercio Margherita Peroni ospite dell'Ascom per confrontarsi con i commercianti sui problemi che affligono il settore e le contromisure da prendere
Due lettere con due oggetti diversi e la stessa sofferenza: quella dei commercianti che si devono confrontare con un mondo ormai globalizzato e senza regole. Sono state consegnate all’assessore regionale per il Turismo e il Commercio Margherita Peroni ospite dell’Ascom per confrontarsi con i commercianti della provincia di Varese sui problemi che affligono il settore e le contromisure da prendere.
Bruno Magni di Busto Arsizio ha intitolato la sua lettera “I nuovi schiavi”.
Scrive Magni: «La piccola realtà rimasta finora in penombra è quella delle condizioni di lavoro dei lavoratori dei centri commerciali sparsi in tutta Italia ed in particolare dei piccoli commercianti situati nelle gallerie dei suddetti centri. La liberalizzazione degli orari di apertura delle attività commerciali ha di fatto dato il via libera ai grossi gruppi per realizzare il loro sogno di sempre, ovvero restare sempre aperti senza soluzione di continuità. Idea da sperimentare in tempi normali ma pessima a mio modo di vedere in tempi di crisi come questi: in realtà i guadadgni si spalmano in più giorni a discapito dei costi che invece aumentano, ma questo è un discorso di marketing che puo’ avere un’importanza relativa. Diverso invece risulta il discorso delle ore lavorative che assume un apsetto inquietante: se è vero che i dipendenti dei centri comemrciali devono sottostare a turni più lunghi, è anche vero che si tratta comunque di turni, e il loro diritto al riposo è, in qualsiasi caso, garantito. Cambia invece il discorso per i piccoli commercianti che hanno all’interno di questi centri commerciali la loro attività. Si tratta per lo più di negozi a conduzione famigliare in cui lavorano marito e moglie (pr i più fortunati anche uno o due dipendenti part time per tutte le 13 ore di apertura giornaliera continuata ed obbligatoria come da contratto imposto. Ma pur con qualche sacrificio e l’aiuto dei nonni che tengono i bambini si è riusciti fino ad ora o meglio fino alla fatidica liberalizzazione ad avere una vita dignitosa: eh, sì perché almeno la domenica e nelle festività comandate ci si poteva godere la famiglia e passare una giornata intera tutti insieme. Ma il colpo di scure era in agguato: la liberalizzazione. Una balzana trovata, lanciata senza valutarne attentamente i pro e i contro, che ha cancellato con un solo colpo di spugna uno dei diritti più sacrosanti che i nostri nonni e i nostri padri avevano faticosamente conquistato a suo tempo nel mondo dle lavoro: il riposo settimanale. Ciò che molti non sanno infatti è che le piccole attività commerciali poste all’interno dei grossi centri commerciali sono tassativamente obbligati a rispettare i loro orari di paertura e chiusura ivi comprese le aperture festive: tradotto significa che i giorni di riposo concessi ai piccoli commercianti sono ben 3 all’anno: Natale, 1 gennaio e Pasqua, punto! Il tutto condito dalle solite 13 ore giornaliere (8-21) per 7 giorni su 7, appunto, tutto l’anno. In pratica non abbiamo più diritto a niente: non solo al riposo settimanale ma anche a pranzare e cenare insieme (bisogna fare i turni, mentre i nostri figli lo fanno dai nonni), passare una giornata insieme a loro, seguirli nella scuola, quando non stanno bene, andare anche noi stesi a fare la spesa o dal medico.
L’unica consolazioen che a me e mia moglie è rimasta è la possibilità di vedere ancora le nostre due bambine: 10 minuti la mattina, prima che vadano all’asilo e a scuola e 15 /20 minuti la mattina e a scuola e 15/20 minuti la sera, prima che vadano a nanna.
Detto questo chiediamo: ridateci le domeniche, ridateci la possibilità di vivere la nostra vita. Altrimenti saremo veramente i nuovi schiavi».
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