Con la direttrice del MoMa, il design del futuro incanta villa Panza
Paola Antonelli, curatrice del prestigioso MoMa di New York, ha raccontato ad una folta platea com'è il mondo del design industriale: che va molto oltre agli oggetti
Il design non è solo fatto di begli oggetti: costruisce il nostro futuro, il nostro modo di interagire con la realtà, il nostro modo di vivere e lavorare. C’entra, per esempio, con la progettazione degli arti artificiali, con la razionalizzazione dell’uso dei materiali, con un nuovo modo di percepire l’automazione industriale. Insomma «coinvolge più le nostre persone di quanto delle belle forme possano far intravedere, e coinvolge più l’industria – tutta l’industria, non solo quella legata alla moda o all’arredamento – di quanto sembri di primo acchito». E’ questa le tesi sostenuta con dovizia di esempi e particolari, dalla curatrice del MoMa di New York, uno dei musei d’arte moderna più prestigiosi al mondo, Paola Antonelli: architetto, italiana, inserita dalla rivista Art review tra le cento persone più potenti nel mondo dell’arte, la Antonelli ha cercato di illustrare il futuro alla platea fatta di architetti operatori ma anche di appassionati di arte e cultura che gremiva il chiostro di villa Panza a Varese per l’evento che l’ha vista protagonista.
Una cornice, quella scelta dall’Ordine degli Architetti di Varese, particolarmente adatta agli ospiti dell’incontro su “Design e territorio” che fa parte della serie di eventi che celebrano il 50esimo dell’ordine varesino: uno dei più tipici simboli delle ville varesine, abitato e colmo di arte americana, museo amato dagli stranieri e sottovalutato dagli abitanti.
Un po’ come il design varesino, che rappresenta un’eccellenza nel mondo ma non viene coltivato in patria: «Una scuola di design sarebbe perfetta, in questo tessuto industriale» conclude il suo discorso la Antonelli. «Ne ho parlato, inascoltato, con ben cinque sindaci» ricorda a mezzavoce Marcello Morandini, varesino, architetto e designer di fama internazionale, che ha partecipato da spettatore alla serata.
Un territorio che ha fornito ben otto segnalazioni o vittorie al Compasso d’Oro – il più prestigioso premio di design italiano, un caso unico al mondo di giuria non istituzionale nè commerciale – ma che troppo spesso ancora non riconosce come “design” la propria produzione. «E’ uno dei principali problemi del premio: convincere alla partecipazione, per oggetti o progetti che non vengono visti come pezzi di design industriale» racconta Luisa Bocchietto, presidente di Adi, l’associazione di promozione del design industriale («Non è una associazione di designers, ma di promozione» ricorda) che organizza dal 1954 il premio.
Un territorio che può fare quindi ancora molto per percepire se stesso.
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