Al Pardo arrivano gli italiani

Ornella Muti, Gianni Morandi, il cast di "Padroni di Casa" con Valerio Mastrandrea, Elio Germano, Valeria Bruni Tedeschi: in un festival che scarseggia di film dello stivale, sabato la kermesse è stata tricolore

Locarno sotto la pioggiaIl primo sabato del Festival ha coinciso anche con la prima serata caratterizzata da qualche problema meteo, con la pioggia a cadere piuttosto forte per gran parte del tempo delle proiezioni su Locarno e su Piazza Grande.

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Ciò non ha impedito l’omaggio del Festival al cinema italiano con la consegna di un pardo speciale a Ornella Muti, che lo ha ritirato di persona dalle mani del direttore Père e una sorta di “presentazione speciale” di “Padroni di Casa”, l’unico film italiano in concorso in quest’edizione.

Presentazione speciale perché abitualmente i film in concorso non hanno alcuna relazione con la piazza almeno fino all’eventuale vittoria di un Pardo, quest’anno però il rapporto col cinema italiano è stato oggetto di qualche polemica prima del festival con il direttore Père (che è notoriamente un appassionato del cinema nella lingua di Dante, lingua che ha imparato in gioventù proprio per interessi cinefili) che ha sostanzialmente accusato la cinematografia della penisola di non prestare attenzione a Locarno.

In effetti quest’anno non viene presentato in Piazza nemmeno un film in italiano, mentre nelle rassegne principali, oltre al già citato "Padroni di Casa" compaiono solo altri due film con dialoghi in italiano: uno svizzero e un britannico ambientato in Italia.

Il cast di Padroni di CasaComunque questo omaggio ha consentito un simpatico passaggio sul palco di quasi tutto il cast di "Padroni di Casa" (Mastrandrea, Germano, Bruni Tedeschi) e soprattutto la breve ma significativa esibizione di Gianni Morandi, che recita nel film il ruolo di una rock star italiana degli anni ’60 ormai in declino. Morandi ha salutato il pubblico sotto la pioggia omaggiandolo di un breve medley di due canzoni sue e di una di un illustre concittadino: Piazza Grande di Lucio Dalla.

Hanno fatto seguito i due film della serata: uno svizzero un americano realizzato da francesi, due commedie molto diverse tra loro ma entrambe molto divertenti (più avanti qualche particolare in più).

Se la commedia e la pioggia sono state protagoniste sabato, sono però rimaste sulla Piazza (e al Fevi dove si proietta in contemporanea durante i temporali) anche domenica, con i perduranti acquazzoni e con la proiezione in seconda serata di Sightseers, una commedia nera che rinverdisce i fasti di un certo humor macabro britannico che a Locarno aveva avuto una consacrazione pochi anni fa col lancio di Death at a Funeral (funeral party) in seguito successo mondiale e film divenuto popolarissimo. Prima di questo però la serata era iniziata con la presentazione delle borse Open Doors con le quali una decina di progetti di nuovi film provenienti da paesi della francofonia sub sahariana hanno ricevuto un finanziamento che si spera ne possa rendere possibile la realizzazione. All’avvio della breve cerimonia di premiazione sono stati celebrati con un breve filmato i primi dieci anni della rassegna Open Doors e, su proposta di alcuni componenti africani della giuria, il numeroso pubblico del FEVI si è alzato in piedi per osservare un minuto di rigoroso silenzio in segno di rispetto e solidarietà per l’oppressione del fondamentalismo religioso e la connessa guerra civile che stanno insanguinando il Mali.

I film in Piazza Grande:

Nachtalarm, CH/Germania, di Christoph Schaub.
L’autore fi Giulia’s Verschvinden, premio del pubblico a Locarno pochi anni fa, torna in Piazza Grande con una commedia brillante dalla trama originale e, se lecito, un po’ meno strettamente svizzero tedesca della precedente: Tim è un neonato di nove mesi, i giovni genitori gli vogliono bene e sono felici ma tutto cambia al calare del buio quando Tim inizia a piangere senza requie. Peggio ancora il pianto di Tim ha un solo antidoto: si addormenta seduto solo sul sedile di dietro della golf di papà, a una velocità minima di 130 orari e si risveglia appena la macchina di arresta. Ecco allora che i genitori cominciano a trascorrere le notti in bianco sulle autostrade intorno a Zurigo finchè due balordi, non accorgendosi del pargolo assopito, rubano la golf dal parcheggio di un autogrill. I restanti 70 minuti di film sono un fuoco di fila di inseguimenti, incontri eccentrici, equivoci e momenti di imbarazzo, fino al lieto fine scontato ma originale nella forma. Apprezzato dal pubblico è sperabile venga distribuito in Italia anche se, va detto, l’eventualità non è scontata.

Wrong di Quentin Dupieux, USA 2012
Dupieux e quasi tuto il suo cast sono francesi ma si trasferiscono oltreoceano per realizzare questa commedia dell’assurdo che vuole essere la continuazione ideale di Rubber, altro film assurdo e sperimentale che Dupieux aveva presentato sempre a Locarno.
Qui la storia ci porta a casa di Dolph, nei sobborghi di Los Angeles, la telecamera zumma sula sveglia che sta per suonare accanto al letto del protagonista addormentato: sono le 7:59 ed ecco che l’orologio scatta… sulle 7:60. Dolph va a lavorare ogni giorno in un anonimo ufficio dal quale è stato licenziato da mesi ma che continua a frequentare e al cui interno piove costantemente, un bizzarro giardiniere gli comunica che la palma si è trasformata in un pino e va sostituita. Queste ricorrenti e normali follie sono il nocciolo del film la cui trama si innesca però sul rapimento “ a fin di bene” di Paul, il cagnolino amatissimo dal protagonista che lo cercherà fin quasi a smarrire la ragione, posto che ciò possa preoccuparlo considerata la follia del suo mondo.

Quelques heures de Primtemps di Stephane Brizè.
Un uomo, per ragioni che non si conoscono, ha trascorso alcuni mesi in carcere, al momento di uscirne non ha più né lavoro é casa e deve quindi tornare dalla madre vedova, con cui i rapporti sono tesi da anni. Difficoltà enormi segnano il rapporto tra i due che viene presto segnato dalla notizia di una malattia incurabile che condurrà a breve la donna alla morte. Il fil quindi si concentra sul recupero del rapporto tra madre e figlio, sul tentativo di riconciliazione reso urgente dal poco tempo a disposizione. Fin qui il film è triste ma interessante e tiene coinvolti, gli attori sono perfettamente nella parte e credibili. Purtroppo però negli ultimi venti minuti il film mette in scena, con precisione voyeristica, le fasi finali della malattia e del decesso e il regista non rinuncia a nessun trucco, compresi i più dozzinali, per indurre le facili lacrime degli spettatori. Un’operazione francamente discutibile che ottiene il risultato (chi non si commuove all’idea della madre che muore?) ma toglie completamente credibilità all’opera.

The seightseers, UK, di Ben Wheatley.
Che fare se, trovandovi in un museo, doveste rimanere irritati dalla vista di un maleducato turista che butta per terra la carta del suo gelato? E se un nobiluomo inglese vi fermasse in mezzo alla campagna dicendovi come dovete comportarvi col vostro cane? O se doveste incrociare qualcuno che ha il camper che avete sempre sognato e il lavoro che vorreste? Per Chris, che gira in viaggio per l’Inghilterra con la neofidanzata, il problema è presto risolto: certi personaggi si uccidono su due piedi. Ma il film non è un sanguinoso Thirller ma una commedia dell’assurdo dove la follia del protagonista, che presto contagia con risultati ulteriormente parossistici la fidanzata, serve solo scherzare su quei pensieri truculenti che, probabilmente, molti di noi hanno avuto al momento di ricevere una pallonata sulla schiena mentre ci si trova sdraiati in spiaggia. Ovviamente un soggetto difficile da descrivere oltre perché la sintesi della trama sarebbe un elenco di delitti men che perfetti ma un film che ravviva una certa tradizione di umorismo neo che al cinema britannico ha effettivamente dato molto. Sicuramente raccomandato al grande pubblico.

Concorso cineasti del presente:

Inori, Giappone, di Pedro Gonzales – Rubio
documentario poetico che il regista messicano realizza piuttosto lontano dal proprio Paese, nel villaggio giapponese che dà il titolo all’opera.
Un villaggio un tempo fiorente, di agricoltori e allevatori, collocato su un declivio di media montagna in una vallata di tipo alpino, Inori oggi ha visto la sua popolazione assottigliarsi fin quasi a scomparire, riducendosi a poche decine di anziani.
Il racconto di questi anziani e del loro rapporto un tempo simbiotico con una natura che resta amica ma che tende a riprendersi i suoi spazi è il fulcro del film, documentario quasi privo di dialoghi, salvo qualche narrazione in terza persona Allo stesso tempo i vecchi di Inori sono diventati gli ultimi guardiani di un rapporto tra uomo e natura che sembra scomparire.

Concorso internazionale:

Mobile home, Francia, di Francois Pirot.
Due giovani uomini decidono di non avere più legami col villaggio agricolo vicino Lille in cui vivono; acquistano un camper e partono per un viaggio di diversi mesi in Europa.
No, in realtà non partono, perché i legami che non c’erano improvvisamente ci sono di nuovo: fidanzate, rapporti economici, sogni, luoghi,abitudini e amicizie; tutto congiura a impedire la partenza e, ogni volta che i due finalmente stanno per mettersi on the road di nuovo una cena da amici, un genitore con problemi di salute o qualche altro accidente li fermano. Ecco il viaggio che si svolge in realtà nel film è una sorta di before the road, un viaggio nei legami e nelle contraddizioni, nel confronto tra ansia di scoperta e comodità della casa con una buona dose di ironia sull’eterna adolescenza e il difficile rapporto con le responsabilità. Tutto già visto, in effetti, ma il film è accattivante e divertente anche se forse un po’ scontato. Solo nell’ultimo minuto del film il camper sembra partire effettivamente ma nessuno potrebbe giurarci.

Berberian Sound Studio UK/Germania/Australia di Peter Strickland
Curioso pastiche, o instant cult come ha detto il direttore Oliver Pere, realizzato in versione bilingue italiana – inglese: Golderoy, l’ottimo Toby jones che si candida al Pardo per l’intepretazione maschile, èuningegnere del suono inglese che giunge in Italia per realizzare la colonna sonora di un classico horror di serie b anni’70. Ma la realtà delllo studio audio che diventa l’integrità del suo mondo comincia prestissimo a confodersi con la realtà artificiale e poco credibile del film cui i protagonisti lavorano, anzi a complicare le cose, si confonde con la colonna sonora del film, visto che delle immagini non si para né se ne vedono. Claustrofobia, realtà che si confondono, effetti sonori realizzati artigianalmente e protagonisti che cambiano ruolo da un momento all’altro. Una trama complessa per un film indecifrabile ma affascinante.

Padroni di Casa, di Edoardo Gabbriellini, Italia.
Cosimo ed Elia (Mastrandrea e Germano) sono imprenditori edili romani che vengono chiamati in un paesino montagnoso dell’appennino romagnolo per sistemare un pavimento a casa di Fausto Mieli (Gianni Morandi) cantante pop un po’ decaduto e ritiratosi dalle scene per seguire le sorti della sua grande tenuta di campagna che è anche parco naturale. Tutto filerebbe liscio se non cominciassero, da subito, gli incidenti e le incomprensioni tra i due romani e i paesani. Come in Cane di Paglia di Peckinpah i paesani si sentono superiori e in diritto di provocare i nuovi arrivati dei quali inoltre invidiano il rapporto con l’eroe del villaggio, la situazione rischierà di esplodere per questioni banali ma sarà poi l’inattesa tragedia familiare di Fausto Mieli e della moglie (Bruni Tedeschi), unita a gelosie per il rapporto tra Germano e una ragazza del paese, a far prendere fuoco non a uno ma ben tre cani di paglia. La carneficina sarà inevitabile, senza vincitori ma con un gran numero di vinti. Un bel film con colonna sonora di Cesare Cremonini.

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Pubblicato il 06 Agosto 2012
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