Locarno, ultimi film in concorso

In attesa degli ultimi giorni del festival, le recensioni degli ultimi film presentati nella giornata di giovedì

Giovedì sera ricco di eventi in Piazza Grande con ben tre film sullo schermo (un corto e due lungometraggi), un Pardo straordinario e la visita fuori programma del cast di uno degli ultimi film che verranno presentati oggi.

Con Ordine si parte dal cineasta di Hong Kong Johnny To, fondatore della Milkyway Image, produttore e regista di grandi film f’azione, gialli e noir che hanno contibuito a far conoscere il grande cinema estremo orientale nel resto del mondo. To è intervenuto anche per la presentazione di Motorway, l’ultimo film della serata, di cui è coproduttore e, nel ricevere il Pardo alla carriera, si è impegnato a tornare presto a Locarno con un film suo, c’è da credere che l’eventualità si realizzerà entro un paio d’anni al massimo.

Dopo di lui, come omaggio al cinema francese, ecco salire sul palco il cast e la regista di Les Mouvements du Bassin, film che verrà presentato stamattina nell’ambito della competizione “cineasti del Presente”, nessuna anticipazione sul film ma a rappresentare chi lo ha interpretato c’era un personaggio molto noto e ormai giunto ad un ottimo punto della sua seconda carriera: Eric Cantona, già calciatore di grande successo, oggi attore dal curriculum sempre più lungo.

Poi, con tre film sulla Piazza, ecco sfilare uno dopo l’altro registi e interpreti a commentare e introdurre, come sempre, le loro opere:

 

The Black Balloon di Joseph e Bennie Safdie USA.

Un film di 22 minuti che vuole essere un omaggio al “voyage du balun rouge” di Hou Hsiao-hsien: una festa con molti bambini è animata da un venditore di palloncini, i palloncini sfuggono e uno di loro, quello nero, compie un viaggio complesso e pieni di avventure che gli farà apprezzare il senso della libertà. Ovviamente ne farà tesoro senza dimenticare i suoi fratelli di colore diverso: divertente brevissimo film sulla libertà e l’anticonformismo

 

While we where here di Kat Coiro USA.

Commedia romantica in bianco e nero ambientata sull’isolo di Ischia con qualche, molto depurata, citazione dall’isola di Arturo di Elsa Morante(che era Procida, probabilmente meno esotica). Classico terzetto con una lei frustrata e in cerca di una vita nuova, lui responsabile, laborioso ma noiosissimo e antipatico, l’altro giovanissimo ed esuberante. Il lettore indovinerà esattamente tutto il resto della trama senza bisogno di ulteriori delucidazioni. Bella fotografia, bravi gli attori, film tutto sommato piacevole, comunque più piacevole che originale.

 

Motorway di Soi Cheang, Hong Kong

Il film prodotto da Johnny To è un film d’azione a tutta velocità, un thriller sostanzialmente automobilistico con un detective della polizia di Hong Kong innamorato della guida veloce che trova finalmente l’indagine che desidera quando un noto criminale ed asso del volante riesce a fuggire dal carcere dando vita ad un’ondata di crimini violenti e brutali. Il giovane Cheung naturalmente dovrà percorrere la strada della sconfitta, dell’umiliazione, dell’insegnamento da parte di un anziano maestro, che muore per salvargli la vita, e riuscirà infine a vincere il male. Anche qui, se esistesse un Pardo d’oro per l’originalità, il film non guadagnerebbe i favori del pronostico. Tuttavia tra spettacolari inseguimenti, sparatorie, atti di eroismo e scontro senza tregua tra il bene e il male il film risulta veramente divertente e vale senz’altro il costo del biglietto. Da antologia la scena dell’inseguimento a passo d’uomo: il criminale fugge infilando la macchina in una serie tortuosissima di strettoie dove e possibile procedere solo a bassissima velocità e con una tecnica precisa che sfrutta lo slittamento delle ruote per superare le curve. Il baldo Cheung lo segue perché è l’unico in grado di farlo e, per alcuni minuti, le due auto si inseguono in un crescendo di tensione a meno di un metro l’una dall’altra e avanzando un centimetro alla volta, lentissime. Spettacolare naturalmente anche se allo spettatore resta il dubbio di cosa trattenga l’inseguitore armato dallo scendere dall’auto e arrestare il criminale a piedi fintanto che questi non se ne può andare.

 

Playback, di Sho Miyake, Giappone.

Penultimo film a esordire nel concorso internazionale 2012 playback è la terza opera di Miyake, giovane regista giapponese, classe 1984. Commedia dai toni nostalgici e con qualche elemento sperimentale playback riutilizza un escamotage già visto in altri film in questo festival: il ritorno del protagonista all’adolescenza, la possibilità di rivere tutta o parte della sua vita per cambiarla o per riflettere sulle scelte effettuate e sulle conseguenze. Girato in bianco e nero e con una fotografia particolarmente studiata ed efficace, il film parte da un protagonista quasi quarantenne che si addormenta e sogna la propria morte, al risveglio si troverà a rivivere episodi della sua adolescenza, non come ricordi e visioni ma in termini reali e non salo ma in compagnia di due amici che sembrano vivera la stessa esperienza. Il ritorno al passato però non è lineare: ci sono salti in momenti ed episodi diversi e ci sono anche momenti che vengono rivissuti più di una volta.

Bella l’idea e il film è interessante e fotograficamente molto bello, però da parte del regista si nota un eccessivo amore per il proprio lavoro e le proprie parole, con ripetizioni, momenti eccessivamente didascalici e passaggi, ciononostante, confusi. Insomma il film è bello ma risulta noioso.

 

Leviathan, di L. Castaing – Taylor e V. Paravel, USA/UK/Francia

Il leviatano è un mostro biblico usato nella simbologia tradizionale per rappresentare il potere cieco e insindacabile della natura. Il leviatano, d’altra parte, è anche il più grande dei mammiferi marini e delle creature viventi sulla terra: il capodoglio. Questo documentario quasi senza dialoghi o voce narrante parte dall’isola di Nantucket, da cui levò l’ancora il Pequod del capitano Achab di Melville, per mostrare la vita dei pescatori di quell’isola che oggi non vanno più a caccia di balene ma continuano a coltivare quel rapporto di dipendenza e rispetto, di odio e amore, col mare e con una professione che si è modernizzata ma senza diventare meno rischiosa e impegnativa.

Il film è, ovviamente, concentrato interamente sugli effetti visivi e sull’immagine, il regista si sforza di cogliere ogni aspetto e punto di vista: mettendo telecamere in mano ai marinai, immergendone altre in acqua, arrivando a lanciarle in aria e a farle volare o galleggiare, con espedienti diversi, fra gli stormi di gabbiani o i banchi di pesce. Visivamente molto ben fatto Leviathan ci ricorda però quanto sia difficile far resistere l’interesse dello spettatore con la sola bellezza dell’immagine: un terzo almeno del pubblico lascia la sala prima della fine, in modo in fondo non sorprendente.

 

Settimana della critica:

 

Stolen seas di T. Payne, USA

Anche questa produzione internazionale dedicata alla pirateria nel mare della Somalia è un documentario, più tradizionale di molti altri visti in questi giorni ma assolutamente efficace e che non manca anche di mettere in scena gli eventi con una certa attenzione alla suspence e al ritmo. Si parte nel 2008, col sequestro della nave danese CEC Future da parte di un commando di pirati nel golfo di Aden, il film intreccia la ricostruzione cronologica dell’evento con la segnalazione analisi degli altri casi di pirateria che si verificarono durante la cattività di questa nave che restò in mano dei pirati per alcuni mesi.

Ma,accanto alla descrizione giornalistica, il regista fa descrivere la vicenda e commentare il contesto ai due protagonisti della trattativa: il rappresentante danese dell’armatore e Ishmael Alì, niente meno che il portavoce dei sequestratori. Ne nasce unprodotto originale che, se da un lato non concede nessuna benevolenza ai criminali, dall’altro punta l’indicie sulle condizioni disperate cui molti diversi responsabili internazionali hanno condotto la Somalia: povertà, assoluta insicurezza e arbitrio, carestia, le acque svuotate dall’attività di flotte di pesca internazionali contro cui la pesca locale non riesce resistere, depositi di rifiuti speciali e discariche di ogni genere che depauperano l’ambiente e producono l’insorgere di gravi malattie. Un bel film che sarebbe bello poter vedere in Italia.

 

Libya Hurra di Fritz Ofner, Austria

ancora un documentario presentato nella settimana della critica: realizzato in Libia nei giorni precedenti la caduta del regime, ma con interviste e riprese anche nei mesi successivi, il film porta in scena la percezione della guerra e la visione del destino del Paese da parte di testimoni oculari, ribelli, operatori del petrolio o semplici cittadini che raccontano il proprio punto di vista nei luoghi dove si svolgono o si sono svolti i combattimenti, nei teatri degli episodi più gravi fino alla residenza di Gheddafi, oggi abbandonata e saccheggiata e ridotta ad una sorta di Disneyland non presidiata.

Il film non nasconde di essere girato dalla parte dei ribelli, o quanto meno contro il vecchio regime, non si ferma però di fronte alla denuncia dei crimini, compresi quelli dei ribelli, non nasconde punti di vista critici e anzi mette in luce tutti i rischi connessi alla presenza fra i ribelli sia di islamisti, come di esponenti del vecchio regime o di persone che non sono semplicemente in grado di far fronte alle responsabilità connesse col far parte della ricostruzione di uno stato. Non manca però il punto di vista di ingegneri, tecnici e intellettuali che mostrano anche le risorse che la Libia liberata potrà ancora avere. Da segnalare che, nonostante il punto di vista comunque critico, nessuno risulta avere ostacolato la produzione del film in Libia.

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Pubblicato il 10 Agosto 2012
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