Contratto nazionale più snello e per tutti. La Cgil discute di un tabù

Elena Lattuada segretario confederale e Michela Spera della Fiom nazionale, al direttivo provinciale dei metalmeccanici, hanno affrontato il tema del «contratto nazionale unico» e della contrattazione di secondo livello

Complice l’aria dell’Aloisianum di Gallarate, casa dei gesuiti, che notoriamente favorisce la discussione, il confronto avvenuto nel direttivo della Fiom provinciale, ospite nella struttura, su un tema delicato come la contrattazione collettiva nazionale apre scenari interessanti. Alleggerire il contratto nazionale per aprirlo a tutti i lavoratori, precari compresi, e favorire la contrattazione di secondo livello è una tesi che il segretario confederale Elena Lattuada porta avanti ormai da tempo nella Cgil. «Siamo a un bivio – spiega la sindacalista – perché è in gioco l’idea di rappresentanza sindacale che oggi se parliamo di contrattazione collettiva è legata più all’immaginario collettivo che non alla realtà».
Lattuada non vuole sentir parlare di contratto nazionale unico. Meglio affidarsi ad aggettivi come «leggero» ed «esteso» con riferimento a chi oggi non viene nemmeno sfiorato dalla contrattazione collettiva nazionale. Comunque lo si chiami, ci si trova di fronte a una doppia rivoluzione, perché da una parte la proposta della Lattuada è una risposta all’esercito dei precari che bussa alla porta dei diritti finora negati o concessi come cascame dopo il pranzo dei garantiti, dall’altra obbliga il sindacato a rivedere i rapporti di forza interni.
«Io immagino – continua il segretario confederale– un contratto nazionale che definisca solo alcuni diritti di cittadinanza, come ad esempio la maternità, e tuteli il potere di acquisto delle retribuzioni. Il resto lo definisce la contrattazione di secondo livello che permette di remunerare la produttività. Riuscire a limitare la precarietà significa aumentare la qualità dello sviluppo».
La sindacalista è cosciente che si tratta di uno strappo culturale profondo, ma al tempo stesso sa benissimo che non c’è tempo: o il sindacato se ne fa carico subito, oppure verrà un momento in cui potrà solo prendere atto del cambiamento avvenuto e recitare il ruolo di comparsa. «È chiaro – spiega Lattuada – che occorre sperimentare questo modello in alcune aree, ma bisogna farlo perché se lasciamo gestire questo processo alla politica il sindacato verrà aggirato».
Quello strappo culturale i leghisti da sempre lo chiamano «gabbie salariali» e Michela Spera della segreteria nazionale della Fiom pensa proprio a quella definizione. «Un padrone non lo convinci a parole – dice Spera – ma arriva alla mediazione con il sindacato solo se deve passare dal contratto collettivo nazionale e noi lo facciamo passare da lì. E se io ho un potere contrattuale mi spiegate perché non devo farlo valere? Mentre la contrattazione di secondo livello, fin da quando è stata introdotta nel lontano 1963, è sempre stata a perdere».
Per la Fiom il passaggio obbligato da cui deve passare la controparte non puo’ essere l’accordo separato firmato da Fim e Uilm. «Troppe concessioni ai padroni» secondo Spera. Quanto basta per fare un annuncio da d-day: «La riduzione delle tutele non è accettabile e gli aumenti salariali sottoscritti per noi sono solo un acconto. Apriremo vertenze fabbrica per fabbrica e chiederemo referendum con la certificazione del voto». 
(foto sopra: da sinistra Michela Spera e Stefania Filetti, segretario provinciale della Fiom)

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 19 Dicembre 2012
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