Dal tessile all’editoria, la metamorfosi dei fratelli Tosi

Benedetta ed Emanuele, terza generazione di un'azienda tessile di Busto Arsizio, sono alla guida della Nomos Edizioni, casa editrice che dal 1996 pubblica beaux livres. «È difficile produrre reddito con la cultura perché bisogna tenere insieme tante componenti. Noi ci proviamo»

Il romanzo industriale della provincia di Varese è una storia di successioni imprenditoriali, più o meno riuscite, e di metamorfosi produttive, come quella realizzata da Emanuele e Benedetta Tosi, terza generazione di imprenditori tessili che oggi guida la Nomos Edizioni, casa editrice nata nel 1996 e specializzata in volumi d’arte, cataloghi di mostre e libri fotografici. Una produzione che negli anni si estesa ai saggi, ai racconti d’impresa, ai libri di storia locale fino a ideare una collana di poesia contemporanea, una vera rarità in Italia. Dal telaio all’editoria sembrerebbe un salto impegnativo e un po’ incosciente. In realtà nella scelta di pubblicare beaux livres c’è una sensibilità che viene da lontano, coltivata e alimentata prima dal nonno, poi dal padre Maurizio Tosi (attuale presidente) che insieme a Luigi Mariani ha gettato le basi della casa editrice, a cui i due fratelli hanno deciso di dare continuità con un assetto di impresa.
In questo cambio di passo c’è una ricerca che ha guidato le scelte di questi due giovani imprenditori e forse anche la sottaciuta convinzione di poter cambiare il mondo, almeno il proprio, poiché inseguire la bellezza nelle parole, nei versi e nell’immagine richiede la stessa cura e lo stesso impegno necessari alla selezione di tessuti e trame per la produzione di tende. «La ricerca di senso è ciò che ci ha guidati in questo cambio di rotta – spiega Emanuele Tosi – e il contenuto è sempre il punto di partenza. Quando abbiamo deciso che in nome della bellezza e dell’economia doveva funzionare tutto insieme, dalla poesia al catalogo d’arte, allora abbiamo ideato una linea editoriale completa con una certa specializzazione».
I due fratelli Tosi non si sono dati un compito semplice, soprattutto in una fase caratterizzata dalla smaterializzazione dell’informazione e dell’editoria in genere. C’è una parte infatti della vecchia industria editoriale che sta cercando un guado per raggiungere la sponda digitale che scorre veloce e sembra travolgere tutto. Per il momento loro si sono messi in salvo. «Dove va la sensibilità del mondo? È questa la domanda che oggi un imprenditore e quindi anche un editore si deve porre – continua Emanuele – soprattutto se pubblica libri d’arte per i quali è richiesto uno sforzo maggiore, perché si tratta di libri che devono avere qualcosa in più rispetto agli altri e non solo in termini di qualità, ma di progetto complessivo».
La Nomos, come editore d’arte, deve competere con dei mostri sacri in un mercato difficile dove, se escludiamo le grandi mostre fagocitate dai colossi del settore, gli spazi ci sono solo se te li crei. «Fin dall’inizio – aggiunge Benedetta Tosi – pensiamo allo sbocco che il libro deve avere, lavorando in sinergia con quelle realtà che hanno un interesse alla pubblicazione. Fare una cosa su misura per le parti che sono coinvolte puo’ aumentare la qualità del progetto». Il ruolo del pubblico, inteso come amministrazioni, enti, musei e gallerie, è necessario e non solo nella veste di finanziatore di un’iniziativa ma soprattutto in quello di collaboratore attivo attraverso le competenze che esprime. «In Italia – continua l’imprenditrice – è difficile produrre reddito con la cultura perché bisogna tenere insieme tutte queste componenti. Noi ci proviamo».
Oltre all’arte, la casa editrice di Busto Arsizio pubblica libri dedicati alle storie di impresa e alle eccellenze imprenditoriali. Il legame con il «saper fare» del territorio è rappresentato dall’azienda tessile di famiglia, che quest’anno compie 65 anni, trasfigurato nel disegno delle copertine della collana dedicata alla poesia contemporanea che riprendono il motivo dei tendaggi prodotti appunto dai telai della Astra Nova, tessitura che, come molte altre della zona, ha risentito della globalizzazione nonostante abbia sempre esportato gran parte della propria produzione. «I valori che per un imprenditore sono scontati – conclude Emanuele – non lo sono per gli altri. Le aziende sono fatte di persone con la loro storia e dietro quelle storie ci sono esistenze che possono essere raccontate in modo avvincente e avere anche un messaggio universale, o meglio, globalizzato».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 08 Gennaio 2013
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