Cane detenuto in una cuccia angusta, il padrone dovrà risarcire

Condannato cacciatore per aver detenuto il proprio cane in condizioni incompatibili con la sua natura e produttive di gravi sofferenze

Un anziano cacciatore residente ad Azzate è stato condannato a 800 euro di ammenda (pena sospesa a seguito di patteggiamento) e 1.170 euro di risarcimento alle associazioni per la tutela degli animali costituitesi parte civile. Il reato contestato è l’articolo 727 comma 2 ovvero l’aver detenuto il proprio cane da caccia in condizioni incompatibili con la sua natura e produttive di gravi sofferenze. (Fatto accertato ad Azzate (VA) in data 08.12.2009)
I fatti
Lungo uno scosceso pendio nel bosco della Valciasca, con vari materiali di risulta quali legno, reti e lamiere metalliche, il reo aveva infatti realizzato (senza alcun permesso di costruire), sotto alberi ad alto fusto, un fatiscente ed angusto stabulario (1 m x 3 m circa) pressoché chiuso su tutti i lati per la stabulazione del proprio cane da caccia: un drahatar maschio di 8 mesi (all’epoca dei fatti).
Sicché, al buio e privo di qualunque contatto con l’ambiente circostante, l’animale (ancora cucciolo) aveva iniziato ad ululare e guaire ripetutamente giorno e notte richiamando così l’attenzione di alcuni residenti della zona che, nel mese di novembre dell’anno 2009, preoccupati per le condizioni del medesimo, chiedevano l’immediato intervento del Servizio interprovinciale tutela animali diretto dal dottor Francesco Faragò. A seguito di ripetuti sopralluoghi con i quali si accertava la sistematicità dell’inidonea detenzione (detenzione al buio), in data 08.12.2009 operava di iniziativa il sequestro dell’esemplare, liberandolo dall’angusto e fatiscente ricovero anzidetto, la cui pavimentazione lignea, come da allegato rilievo fotografico, risultava completamente sporca di urina e feci diarroiche causate da una infestazione massiva di parassiti intestinali vermiformi quali Ascardi ed Ancylostomi con conseguente e preoccupante magrezza dell’animale stesso il quale veniva prontamente ricoverato presso una struttura idonea ed autorizzata per essere lavato e sottoposto a trattamento igienizzante-disinfettante giacché oltremodo sozzo per aver a lungo stabulato sui propri escrementi.
Infine, la veterinaria nominata ausiliaria di polizia giudiziaria per gli accertamenti medico veterinari, constava che a seguito della lunga detenzione in condizioni di oscurità pressoché totale, l’animale era divenuto fotofobico mostrando sofferenza e malessere in presenza della luce solare per arrossamento e bruciore degli occhi ormai disabituatisi ad una condizione di normale illuminamento.
Tuttavia dopo essere stato opportunamente assistito mediante somministrazione periodica di vermifugo e di unguento oftalmico unitamente ad una dieta ipercalorica per il recupero del peso, l’animale si ristabiliva prontamente e grazie alle volontarie del Canile di Cittiglio veniva anche riabituato al contatto con le persone e con i propri simili. E se già da alcuni mesi, dopo aver smantellato lo stabulario abusivo, stante anche l’assenza di precedenti penali, l’imputato avesse chiesto ed ottenuto il dissequestro condizionato dell’animale, dimostrando di aver effettivamente ovviato alle criticità contestate egli è stato comunque condannato per le responsabilità pregresse così come richiesto dal Pubblico Ministero titolare del procedimento Sara Arduini. L’odierna sentenza del Tribunale di Varese ribadisce e consolida l’importante principio stabilito dalla Sentenza n.10136 del 25.9.2000 della Suprema Corte di Cassazione secondo cui, ai fini dell’integrazione del reato previsto e punito dall’art. 727 com. 2 del CP, l’assenza di luce costituisce per l’animale una detenzione in condizioni incompatibili con la propria natura indipendentemente dalla sottoposizione dello stesso a strazi, sevizie o altre fatiche insopportabili.
 

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Cane maltrattato 4 di 11
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Pubblicato il 05 Marzo 2013
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