Alfredo Bonavita, da fondatore delle Brigate Rosse al sociale

L'ex-terrorista rosso ha scontato 11 anni di carcere dopo l'arresto nel '74 ha partecipato a diversi rapimenti ma non ha mai ucciso nessuno. Ora si impegna in una cooperativa: "Aiuto gli altri, uccidere Moro fu un errore"

Oggi il suo impegno è nel sociale, per una cooperativa, negli anni ’70 erano le Brigate Rosse. Alla presentazione del libro di Ferdinando Imposimato sul sequestro Moro c’era anche Alfredo Bonavita (a sin. nella foto con Gallinari nel giorno del loro arresto), uno dei fondatori del gruppo terroristico comunista a Torino insieme a Prospero Gallinari, Renato Curcio, Mara Cagol. Insieme avevano creato la cosiddetta colonna torinese delle B.R.. Nato ad Avellino, operaio elettrotecnico a Novara, non rinnega il suo passato e, anzi, afferma che «se potessi tornare indietro mi ritroverei a fare le stesse cose perchè in quel momento credevo di fare davvero qualcosa per il proletariato, rimango comunque comunista». 

E’ uno dei fondatori delle Brigate Rosse. Ha partecipato alle prime imprese dell’organizzazione: i sequestri dimostrativi come quello del dirigente della Fiat, Ettore Amerio, e del sindacalista della Cisnal, Bruno Labate e quello del giudice Mario Sossi a Genova. Entra a far parte del comitato esecutivo delle Br nell’ottobre 1974, e nel novembre successivo viene sorpreso da una pattuglia, a Torino, mentre sta rubando un’auto con Prospero Gallinari. Non ha mai ucciso, non ha mai ricevuto alcun beneficio di legge, ha scontato 11 anni di carcere. Iscritto al Pci e alla Cgil aveva lasciato partito e sindacato nel 1969, dopo essere entrato in contatto con Giangiacomo Feltrinelli. Nel 1971 era entrato in clandestinità partecipando, con Renato Curcio, Mara Cagol, Maurizio Ferrari e Fabrizio Pelli alla creazione della colonna torinese.

Oggi vive a Como e si occupa di sociale: «Sono venuto alla presentazione del libro del giudice Imposimato perchè quando fui interrogato da lui mi diede immediatamente l’impressione di essere una persona che cercava la pura verità e non era condizionato da finalità politiche – racconta Bonavita – per questo ancora oggi si occupa di quello che avvenne in quegli anni». Bonavita ha ascoltato con attenzione le tesi portate avanti da Imposimato, compresa la possibilità che le B.R. della seconda generazione, quelle del rapimento Moro, potevano essere state infiltrate da agenti americani: «Magari non infiltrate ma in qualche modo influenzate da qualche personaggio che aveva contatti con i servizi segreti – precisa Bonavita – in quegli anni è successo di tutto e poi, comunque, io ero già in carcere dal ’74». Si poteva salvare Aldo Moro? «Certo che sì – risponde Bonvita – sarebbe bastata una grazia ad un prigioniero malato per liberarlo ma la linea di D.C. e P.C.I. fu quella di non cedere nemmeno un millimetro perchè sarebbe stata una sorta di riconoscimento per noi, il fatto che potevamo trattare con lo Stato ci avrebbe resi molto più forti. Invece, con la decisione di ucciderlo, le stesse B.R. si sono condannate a morte». 

Di quell’epoca, oggi, rimane molto poco: «Le grandi idealità politiche sono finite e quel poco che resta non trova applicazioni pratiche – racconta ancora – oggi l’impegno vero è quello nel sociale, l’unico settore dove è possibile fare qualcosa di immediatamente tangibile per la società». Così Alfredo Bonavita, dopo aver scontato i suoi anni di carcere, oggi vive una vita nuova.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 29 Maggio 2013
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