Quarant’anni di vita ed amore in montagna, così è nato il Roccolo
Pinuccia e Albino festeggiano quarant'anni di attività e di matrimonio e raccontano una storia iniziata nel '73 e ancora oggi "contro corrente": la lora vita in fattoria con i figli e i nipoti
Ci vuole un attimo per essere completamente assorbiti dai colori e dall’aria della Fattoria Roccolo. Lasci Luino, prendi la strada per Curiglia e ti arrampichi su una stradina sterrata che porta in questo luogo fuori dal tempo. Un angolo della Val Dumentina dove la vita è fatta di cose semplici e dove non c’è bisogno di nient’altro.
Una storia inizia a metà degli anni ’70 quando Pinuccia e Albino Brancher lasciano tutto per venire a vivere sulle montagne. Ce la raccontano alla vigilia dei festeggiamenti per i quarant’anni di attività per i quali hanno organizzato una grande festa tra amici e parenti.
«E’ stata una scelta di vita chiara e ponderata», spiega Albino con il sorriso sulle labbra. «Ci stava "tutto stretto" e abbiamo deciso di andare "contro corrente" e di venire a vivere qui».
Era il 1973 e quello che era un vecchio stabile abbandonato diventa la casa dei due coniugi Brancher, giovani coraggiosi e tenaci che negli anni lo trasformeranno anche in agriturismo e una fattoria. «Ci siamo conosciuti nel 1969. Io ero di Gavirate, Pinuccia di Milano» continua Albino, «Facevo il geometra alla Ignis e mia moglie la commessa a Milano, ma veniva sul lago per aiutare la zia in pasticceria. Lì ci siamo conosciuti e fidanzati subito». «Nel 1973 abbiamo fatto una passeggiata e abbiamo visto questo posto» continua Pinuccia, «abbiamo deciso di prenderlo e non siamo più tornati indietro». Da lì a poco nascono i figli, Stefano ed Emanuele che oggi continuano a portare avanti l’attività insieme alle mogli. «Non è stato facile» spiega Albino mentre tiene in braccio il nipotino di quattro mesi, «ma abbiamo deciso di vivere una vita semplice, in mezzo alla natura e con il nostro lavoro. Siamo partiti da zero. Quando siamo arrivati qui non sapevamo nulla della vita agreste ma abbiamo imparato tutto piano piano, con l’esperienza e soprattutto abbiamo imparato a rispettare i cicli naturali della vita e a seguire i consigli dei "vecchi"».
Oggi la famiglia Brancher produce ottimi formaggi e salumi, grazie all’allevamento di mucche e capre. Le galline corrono per il cortile mentre la legna per scaldarsi d’inverno arriva dai terreni circostanti. L’orto fornisce la verdura con cui Pinuccia fa anche ottimi sottaceti. «Abbiamo imparato a produrre gli alimenti e il necessario per vivere. Quando abbiamo iniziato avevano due capre, oggi grazie al nostro lavoro e a quello dei nostri figli riusciamo a mantenerci». Una scelta di vita controcorrente. Lo era nel 1973, quando tutti lasciavano le valli per trasferirsi a Milano o in Svizzera, e lo è ancora oggi. «Ci è sempre piaciuto soffrire» scherza Albino sapendo del lavoro "sulle spalle". La giornata in fattoria infatti, inizia presto: alle 6,30 la sveglia per mungere le vacche e le capre, poi ci sono i lavori di priorità in base alla stagione (tagliare la legna, fare i formaggi, pulire le stalle, l’orto ecc.). Alle 17,30 si mungono ancora gli animali. A tutto questo va aggiunta la gestione dell’agriturismo composto da quattro camere (ognuna ha il nome di un fiore, spiega Pinuccia) dove soggiornano i turisti e la gestione dei pranzi e delle cene. Eppure, basta guardarli per capire che non c’è nulla che rimpiangono. «Siamo tornati a Milano sotto Natale, ma non ci torno più, non mi è piaciuta», spiega Pinuccia mentre mi mostra i tantissimi quadri che ama dipingere nei momenti di tranquillità. I figli invece, classe ’74 e ’77, qualche dubbio l’hanno avuto. «Dopo i vent’anni sono andati a vedere cosa c’è al di là del fiume», racconta sorridendo il padre, «Sono stato io a spingerli. Dopo un anno e mezzo sono tornati». Una bella realtà, uno di quei luoghi dove dopo qualche ora ti senti a casa, vai via col sorriso e ti prometti di tornarci.
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