“Rovello Porro come Chernobyl? Il problema esiste e vogliamo risposte”

Massimo Bonfatti e Paolo Scampa tornano a parlare dell'inquinamento radiottavo del Lura dovuto a un'azienda che utilizzò materiale inquinato diversi anni fa e chiedono precisazioni ai vari enti

In merito al comunicato stampa da noi diffuso in data primo aprile 2013, rincresce ritornare sull’argomento, in quanto il comunicato era stato licenziato in forma dubitativa e, soprattutto, con la richiesta di opportune verifiche e risposte “certe” (peraltro, al momento, non giunte) da parte degli enti interessati o coinvolti.

Alcune affermazioni riportate dai mass media e alcune prese di posizioni solamente “di facciata” o “auto-assolventi”, per non dire generiche ed infastidite da parte di alcuni amministratori locali, ci impongono a ritornare sull’argomento.

Riconfermiamo che da parte nostra abbiamo solo evidenziato una doverosa preoccupazione, come farebbe ogni buon “pater familias”.

Ma se non fosse stato chiaro (o se il comunicato non fosse stato letto attentamente), ci preme, allora, ribadire alcuni concetti:

 

1)      nel comunicato i dati riportati sono espressi sotto forma di “stime”: esse derivano unicamente dall’analisi delle fonti pubbliche riportate in calce al comunicato (fra cui la stessa Arpa). Se le nostre stime sono ritenute contraddittorie o “sbagliate”, a maggior ragione dovrebbero esserlo le fonti ufficiali: per questo richiediamo l’accesso o la diffusione pubblica di dati “certi”, scevri di interpretazioni dubitative , a cominciare proprio dalla sorgente. Un articolo de “L’Espresso” (citato nelle note del comunicato e ripreso anche dal servizio d’informazione militare statunitense) riporta che sono stati fusi dai 600 ai 6.000 Curie di Cesio 137 (cioè da 7 a 70 grammi circa di materia radioattiva). Se è stato effettivamente così (e poniamo il dubitativo in attesa di numeri “certi”), ciò non corrisponderebbe, forse, dal 4 al 40% del Cesio 137 ricaduto in Italia in seguito alla catastrofe di Chernobyl?;  

 

2)      qualcuno ha obiettato: “Se fosse vero quello che hanno scritto saremmo tutti morti da oltre 20 anni”. A parte il fatto che chi ha pronunciato con azzardo tale frase o non ha confidenza con argomenti così ostici o più probabilmente non ha letto compiutamente il comunicato, l’affermazione non tiene conto (come tutti gli incidenti nucleari hanno dimostrato e dimostrano, non ultimo quello di Chernobyl) che gli effetti di qualsiasi fallout radioattivo devono essere valutati nel tempo, in quanto il danno umano è dovuto agli effetti costanti e cronici dell’incorporazione delle basse dosi di radiazione, anche come causa indiretta nell’aggravamento o nell’esacerbazione di patologie precedenti a causa dei lenti effetti immunodepressori.. Gli studi del prof. Yuri Bandazhevsky hanno già dimostrato “in vivo” questi effetti. Per questo l’affermazione riportata suona, inconsapevolmente e incoscientemente per chi l’ha pronunciata, tragica: non è detto che non ci siano stati “morti” (e come ci dispiace riportare questo termine!) riconducibili all’incidente. Come non è detto neppure il contrario. Ma a fronte di ricerche scientifiche in merito all’effetto delle basi dosi di radiazione già così acclarate, sarebbe opportuno rispettare ed assumere un atteggiamento di precauzionalità,  condotta che è alla base di ogni serio processo e ricerca scientifica;

 

3)      la preoccupazione da noi avanzata non si riferisce necessariamente ad un “preciso” fallout locale nell’area di Rovello Porro, ma ad un “certo” (nel senso di “incontrovertibile”) fallout locale i cui effetti, per via delle condizioni atmosferiche, potrebbero essere stati delocalizzati (anche a parecchia distanza). Non sta a noi dimostrare la localizzazione del fallout, ma agli enti certificatori dimostrare, e in primo luogo, l’entità e la qualità dei radionuclidi liberati per via aerea. Allo stesso modo va certificata l’entità e la qualità del percolamento di contaminanti radioattivi nel Lura, non limitandosi alla sola analisi delle acque, ma anche del fondo (e delle pietre) del letto del fiume e – ancora di più – verificando tutto il percorso del bacino idrico di riferimento che sfocia nel Po (non dimentichiamoci, infatti, che la contaminazione è stata riscontrata a ritroso partendo, appunto, dal Po);

 

4)      l’attuale direttore dipartimentale dell’Arpa Lombardia ha affermato (come risulta dai giornali dell’epoca – anche questi riportati in calce al comunicato – e come non ha mai smentito) che prima dell’incidente in questione, c’è stato – pur essendone a conoscenza – un anno di omertà. La domanda da porsi è la seguente: l’inopportunità (e forse anche l’indecenza) sta in chi – partendo da fonti pubbliche ufficiali – dimostra uno stato di preoccupazione e si augura di essere smentito o in chi – senza smentire – denuncia un’omissione probabilmente da valutare in altre sedi?

 

5)      riteniamo che di fronte ad una situazione così complessa, contraddittoria e ancora senza numeri e dati “certi”, bisognerebbe uscire dal limbo delle persone e degli enti (privati, pubblici, istituzionali) che, in qualche modo, sono stati interessati e coinvolti (e per certi versi anche “compromessi”) in questa vicenda, per assumersi la responsabilità di affidarsi ad enti indipendenti, in possesso dei requisiti per eseguire una seria ricerca senza dovere rispondere a mandati “di parte”. Fin da ora offriamo tutta la nostra disponibilità per una scelta “equa”.

 

Concludiamo ribadendo ancora una volta il leitmotiv della nostra denuncia: aspettiamo risposte “certe” (e non a caso abbiamo sempre virgolettato questo termine) non solo sui numeri, ma anche sulle omissioni e ci auguriamo – con onestà – di essere smentiti (non solo parzialmente, ma completamente).

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Pubblicato il 08 Maggio 2013
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