I miei giorni in Palestina, tra gli olivi e il Muro

Valeria racconta l'esperienza di un campo di lavoro a fianco dei palestinesi in Cisgiordania, tra lavori agricoli e difficoltà quotidiane

Riceviamo e pubblichiamo il racconto di un’esperienza in un campo di lavoro di Pax Christi nelle terre dei palestinesi

Galleria fotografica

In Palestina, tra gli olivi e il Muro 4 di 15

Eppure, se non c’è qualcuno che raccoglie una testimonianza, che ne scrive, qualcuno che fa una foto, che ne lascia una traccia in un libro, è come se quei fatti non fossero mai avvenuti! Sofferenze senza conseguenza, senza storia. Perché la storia esiste solo se qualcuno la racconta.

Questa frase del grande giornalista e scrittore Tiziano Terzani, mi spinge a superare la mia timidezza e raccontare l’esperienza vissuta in Palestina ad ottobre, durante il campo di lavoro “Tutti a raccolta” organizzato da Pax Christi, per aiutare i palestinesi nella raccolta delle olive (nella foto, il muro a Gerusalemme). L’obiettivo principale di questo campo di volontariato non è soltanto quello di dare un aiuto fisico ai palestinesi ma, anche quello di limitare gli attacchi ai contadini da parte dei coloni e dei soldati israeliani. La raccolta, infatti, molto spesso viene impedita dai coloni israeliani che oltre ad usare la violenza nei confronti dei contadini palestinesi, distruggono i loro alberi bruciandoli o sradicandoli nella totale impunità dei soldati che si limitano (quando non vi partecipano direttamente) ad osservare queste aggressioni ed atti di vera e propria violenza nei confronti di gente disarmata. "Raccontate quello che avete visto, raccontate della maggior parte dei palestinesi che hanno scelto la strada della non-violenza; diventate il nostro ponte con l’Italia ed il Mondo!" ci chiedono tutti i palestinesi incontrati in questo viaggio. E quando vedi il muro di apartheid (illegale secondo l’ONU) con i tuoi occhi, vedi la brutalità e la disumanità dell’occupazione (nella foto, il balcone di una casa paestinese ad Hebron). Percepisci la sofferenza dei palestinesi rinchiusi da quel serpente di cemento e filo spinato, lungo 700 km che, costruito ufficialmente per “motivi di sicurezza”, entra illegalmente nella Cisgiordania (Territori Palestinesi Occupati), “casualmente” dove ci sono punti strategici per Israele (fonti d’acqua, terreni fertili, zone ideali per collegare le varie colonie – anche queste, come il muro stesso – illegali secondo la IV Convenzione di Ginevra, la II Convenzione dell’Aja, la Corte Internazionale di Giustizia e numerose risoluzioni ONU…). Solo il 15% del muro (nella foto a sinistra, la gabbia d’entrata al check-point numero 300 a Beit Jala) col particolare del reticolato elettrtizzato) segue il confine stabilito dalla green line (ma rimarrebbe illegale anche se seguisse per intero la linea verde). "Provo vergogna per il mio Stato", ci dice l’israeliana Daniela Yoel dell’associazione Machsom Watch che si occupa di testimoniare le violenze e le violazioni che  avvengono ai checkpoint. Una mattina andiamo anche noi al checkpoint numero 300 di Beit Jala (vicino a Betlemme). I pochi palestinesi che lavorano a Gerusalemme si devono presentare al checkpoint alle 4.00 del mattino (anche se iniziano il lavoro alle 7.00) perché non sanno quanto ci impiegheranno a percorrere gli 800 metri che li separano dal di là del muro. In questi 800 mt. vengono controllati 3 volte (come anche noi internazionali), passando per diversi tornelli (che i soldati bloccano anche per ore, solo per umiliare i palestinesi e farli sentire non liberi; vedi foto affianco) e metal detector. Devono mostrare i documenti ed il permesso tre volte e nonostante il permesso sia rilasciato da Israele possono essere respinti al checkpoint, senza alcun reale motivo. La stessa privazione di libertà e diritti la ritroviamo nei giorni successivi ad Hebron, città divisa in due e militarizzata, dove le case palestinesi sono circondate da reti per proteggersi dal lancio di pietre da parte dei coloni israeliani; poi ad At-Twani con i volontari di Operazione Colomba che accompagnano i bambini a scuola per proteggerli dagli attacchi dei coloni; infine nella Valle del Giordano dove i beduini non hanno acqua ed elettricità, mentre gli altri palestinesi accedono in modo ristretto a queste risorse (un israeliano ha a disposizione 600 litri d’acqua, contro i 25 di un palestinese; ed i 2/3 dell’acqua utilizzata da Israele proviene da fonti in terra palestinese). Quando vai in Palestina non puoi non vedere la costante violazione dei diritti umani da parte di Israele. E non puoi non ammirare la dignità dei palestinesi che, nonostante tutto, hanno scelto la non-violenza; mentre i coloni israeliani possono possedere armi per legge e le usano anche contro i bambini, come il figlio della famiglia che abbiamo aiutato nella raccolta delle olive: un bimbo di 8 anni (foto) con una cicatrice in testa che si porterà per tutta la Vita…

Valeria

Redazione VareseNews
redazione@varesenews.it

Noi della redazione di VareseNews crediamo che una buona informazione contribuisca a migliorare la vita di tutti. Ogni giorno lavoriamo cercando di stimolare curiosità e spirito critico.

Pubblicato il 12 Dicembre 2013
Leggi i commenti

Galleria fotografica

In Palestina, tra gli olivi e il Muro 4 di 15

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.

Segnala Errore

Vuoi leggere VareseNews senza pubblicità?
Diventa un nostro sostenitore!



Sostienici!


Oppure disabilita l'Adblock per continuare a leggere le nostre notizie.