Ermolli: “Il mio Molina? Un luogo sereno e di qualità”

Il presidente della Fondazione Fratelli Molina traccia un bilancio di questi anni passati alla guida dell'istituto e racconta il rapporto con la città e i desideri per il futuro

intervista guido ermolliPresidente oggi della Fondazione Fratelli Molina, affidabile approdo per chi ha alle spalle un’antica gioventù, Guido Ermolli conobbe la sua prima ribalta pubblica nel 1966, quando divenne segretario del sindaco Ossola. A Palazzo Estense rimase sino al termine del mandato di Raimondo Fassa, primo sindaco leghista: lasciato Palazzo Estense lo avrebbero atteso anni di sereno rigoroso servizio alla comunità nel mondo delle Acli; infine i consensi per le sue qualità gli hanno aperto le porte della responsabilità di una delle istituzioni più care ai varesini.
Come cronista ero già in azione da due anni quando, appunto nel 1966, conobbi Guido: oggi intervistarlo mi dà tranquillità perché le sue risposte non avranno ombre di sorta, saranno sempre fotografia della realtà.

Presidente, cominciamo dalla presentazione della tua squadra: come numero e qualità a livello amministrativo i tuoi collaboratori rispondono alle necessità? Eventualmente in che misura e a quale scopo auspicheresti iniziative e progressi.
«Direi di si. Si tratta in gran parte di personale qualificato e preparato che, normalmente pronto anche a mettersi in discussione, è disposto ad ogni livello a fare attività di aggiornamento e formazione continua».

In una casa di riposo del vostro rango l’attività della componente medica è fondamentale. Voi offrite infatti prestazioni e assistenza anche di carattere specialistico, inoltre avete rapporti stretti di collaborazione con l’ospedale. Puoi fare il punto e dare indicazioni utili ai cittadini?
«La componente medica è piuttosto consistente per una RSA e comprende medici dipendenti e collaboratori esterni che garantiscono la presenza del medico anche nelle ore notturne, nei fine settimana e durante le festività infrasettimanali. Accanto a loro operano gli specialisti degli ambulatori, da qualche tempo aperti mediante prenotazione anche al pubblico esterno con tempi di attesa molto bassi per non dire pressoché nulli. Maggiori informazioni in proposito possono essere ricavate consultando il sito della Fondazione Molina. Anche per la componente medica, comunque, la formazione e l’aggiornamento professionali risultano fondamentali e, proprio da questo 2014, saranno ulteriormente incrementate».

Medici, personale infermieristico, capacità ricettive: tre realtà strettamente interdipendenti: se ne può parlare senza omettere eventuali nodi non ancora sciolti?

«Dei medici abbiamo già parlato. Per quanto riguarda il personale infermieristico, il loro numero risulta di fatto superiore agli standard minimi previsti dalla Regione e la loro professionalità va senz’altro oltre la pura sufficienza. Vale comunque anche per loro quanto detto per i medici in ordine alla formazione e all’aggiornamento professionale. Certo, vi sono aspetti di criticità che riguardano tutta la struttura sanitaria della Fondazione, peraltro dovuti in buona parte – e forse soprattutto – all’evoluzione, particolarmente evidente in questi anni, della tipologia degli ospiti, sempre più anziani e spesso afflitti da più di una patologia, il che comporta la necessità di una preparazione, non solo professionale ma anche psicologica, sempre più adeguata. Anche per questo, come già prima sottolineato, nel breve/medio periodo la Fondazione intende spendere le necessarie risorse, non solo economiche ma anche umane, per consentire al nostro personale sanitario e parasanitario (medici, infermieri, fisioterapisti animatori…) di migliorare costantemente la loro preparazione e di adeguarla alle nuove e continuamente mutevoli esigenze dell’ospite».

Il personale infermieristico vede la presenza di stranieri: qualche considerazione è possibile sulla loro preparazione e sul rapporto con i degenti.
«Devo dire che, grazie anche al supporto e all’accompagnamento della Fondazione e alla disponibilità dei colleghi italiani, non vi sono particolarI criticità sia per quanto riguarda la preparazione degli infermieri di origine straniera, sia nel rapporto, senz’altro mediamente più che soddisfacente, fra questo personale e gli ospiti e non i “degenti”: non siamo un ospedale».

Abbiamo parlato delle persone, ma occorre accennare alla struttura, a possibili problemi e programmi relativi al suo sviluppo, agli obiettivi oltre i quali non è opportuno anzi è sconsigliabile andare.
«Per quanto riguarda la struttura, non è ipotizzabile ad oggi un ulteriore sviluppo della RSA in quanto tale, sia per mancanza di ulteriori spazi fisici utilizzabili sia per le esigenze effettive del territorio di riferimento.  Quelle che invece occorre sottolineare è che, oltre ai servizi già oggi funzionanti a servizio del territorio (Centro Diurno Alzheimer, ADI – Assistenza Domiciliare Integrata, Ambulatori aperti anche all’utenza esterna, gestione di alcuni servizi del Centro Anziani di Via Maspero in convenzione con il Comune di Varese, reparto post e sub acuti, Asilo Nido aperto anche all’utenza esterna) a breve – anche a fronte delle nuove direttive regionali relative all’apertura di nuovi servizi sul territorio a sollievo, fra l’altro, della ospedalizzazione che deve sempre più, anche per una comprensibile necessità di contenimento dei costi della sanità, essere finalizzata alla fase acuta della malattia – e la Fondazione Molina si sta già muovendo in questa prospettiva, sarà necessario realizzare strutture, utilizzando ove possibile proprio le RSA, di ospedalizzazione leggera di recupero e riabilitazione. E’ evidentemente una scommessa, ma è anche probabilmente il futuro se si vuole veramente razionalizzare e qualificare ancor meglio l’offerta socio sanitaria riducendo i costi e contestualmente migliorando le prestazioni. E il Molina c’è».

Prima di fare il punto sulle capacità ricettive della Fondazione vuoi accennare alla rete di accoglienza del territorio che gravita su Varese. E sufficiente?
«Sì, ad oggi penso sia sufficiente».

Il nostro Molina rispetto al passato registra una flessione delle richieste di accesso. Perché?
«E’ vero, le liste di attesa si stanno accorciando anche sensibilmente e probabilmente, per qualche RSA, tendono ad azzerarsi. Le ragioni? Più di una. L’ammontare della retta, oramai mediamente intorno ai 2.000 euro mensili e la crisi economica per cui, in presenza in famiglia di disoccupati o cassaintegrati, si decide di continuare ad assistere in casa anche il grande anziano con patologie, la necessità di continuare ad avere a disposizione il reddito derivante dalla “pensione dei nonni”, il ricorso parziale alle badanti che – pur con i limiti per quanto riguarda gli aspetti di cura – può essere ancora concorrenziale con il costo delle RSA».

I costi della degenza come vengono ripartiti?
«I costi sono formalmente divisi in due grandi voci: una quota alberghiera, totalmente coperta dalle rette; una quota sanitaria, in buona parte, ma non completamente, coperta da contributi regionali ( la restante parte è necessariamente scaricata sulle rette). Una sola annotazione: oltre l’80% dei costi di gestione è afferente al personale».

La Fondazione come ne esce?
«La Fondazione Molina, fortunatamente e anche grazie al fatto che gli investimenti effettuati in questi anni, pari a quasi tre milioni di euro, sono stati finanziati senza ricorso al credito evitando così di appesantire la gestione con quote di interessi passivi, non ha ad oggi particolari problemi di carattere economico-finanziario. Ciò non significa che si possa abbassare la guardia ma è vero il contrario considerata la particolare situazione di crisi che il paese sta attraversando le cui conseguenze anche sui conti delle RSA non sono prevedibili e comunque non inducono certo all’ottimismo. Da qui la evidente necessità di una oculata gestione che, accanto al contenimento dei costi, consenta non solo di garantire ma di migliorare la qualità della vita dei nostri ospiti».

E come la città manifesta ancora il suo attaccamento al Molina?
«Non tocca certamente a me esprimermi in proposito. La Fondazione però, giova ricordarlo, è per la città e della città e tutti i varesini sono di fatto i suoi “Soci”. Questo senso di appartenenza sembra essere ancora vivo, dopo quasi 150 di esistenza. Mi auguro perciò che tutta la città e in particolare “coloro che possono” sia sempre al suo fianco così da permetterle di compiere al meglio la sua missione che è sostanzialmente quella di fornire assistenza e servizi alla sua popolazione più anziana e con maggiori problemi di criticità».

Sono un ricordo, ma certamente anche uno stimolo gli anni in cui c’erano problemi, si faceva fatica a superarli e i giornali ne parlavano. Che cosa oggi non ti soddisfa pienamente e, anche se sei stato sempre un uomo della concretezza, quale sogno hai per il Molina?
«Quando si opera e si lavora nel sociale non si deve mai essere pienamente soddisfatti: di lavoro ce ne sarà sempre e di cose da migliorare pure, anche se oggi forse qualche problema in meno di una volta c’è e l’assenza di polemiche ne è un poco la tangibile dimostrazione.
Un sogno? Oramai vicino alla scadenza del mio mandato non c’è più tempo per i sogni, che magari ci sono ma che non sono più realizzabili dal mio Consiglio di amministrazione, che ringrazio per la fattiva collaborazione che mi ha offerto in questi anni. Però un sogno mi resta. Che, anche grazie a chi verrà dopo di me, gli ospiti del Molina trovino sempre un ambiente amicale e confortevole nel quale vivere serenamente gli anni della vecchiaia dimenticando la solitudine che di solito tende ad accompagnarli».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 09 Febbraio 2014
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