Nei paesi dei Cutrì
Nei due paesi frequentati dal detenuto evaso a Gallarate non sembra esserci molta voglia di parlare di Domenico Cutrì. Ma la presenza in piazza è ricordata da molti
«Lo si vedeva un po’ in piazza, ma non venivano qui». A passare tra bar e negozi di Inveruno, a chiedere di Domenico Cutrì protagonista dell’evasione di Gallarate, la risposta più frequente che viene da negozianti e qualche timidissimo avventore è spesso questa. «Lo si vedeva in piazza», se chiedi di Domenico. «Non venivano qui», al plurale, perché pare che l’unità della famiglia sia ben riconosciuta da molti, anche da quelli che non hanno molta voglia, per il resto, di dilungarsi a raccontare.
A Cuggiono se ne parla qua e là ancora nel pomeriggio livido di martedì, negli ultimi capannelli sulla piazza del paesone, dove una lapide in pietra ricorda gli emigrati in America, prima che Cuggiono divenisse a sua volta meta d’immigrazione dal Sud. Ma a dispetto della primissima indicazione di lunedì sull’origine dell’evaso, a Cuggiono è difficile incrociare il nome di Domenico Cutrì o di suo fratello Antonino: «So che la madre viveva al Villaggio Apache, poi si è trasferita», dice un barista del paese, riferendosi a un quartiere di case popolari della zona che viene chiamato con il curioso soprannome. «Ma loro hanno sempre frequentato Inveruno, dove viveva il padre».
A Inveruno invece il nome dei Cutrì dice qualcosa un po’ a tutti, solo i commercianti venuti da fuori non conoscono il nome o il volto dei ragazzoni di famiglia calabrese. I più hanno presente chi siano, anche se sembra esserci una certa ritrosia a parlarne: «No, di loro non posso dire niente perché non li conosco molto, non ci frequentavano, non frequentavano questo bar» dice sbrigativa anche la titolare del locale pubblico quasi all’angolo della piazza di Inveruno. «In piazza si vedeva, lui e anche i fratelli». E reazioni molto simili si raccolgono qua e là. Poco, per capire chi fosse per il paese Domenico Cutrì. È "solo" un uomo dal comportamento violento, capace di procurarsi armi, «pericolosissimo» come ha detto il procuratore capo del Piemonte Marcello Maddalena? O addirittura un «boss», come è stato sbrigativamente definito da qualche quotidiano, riconducendolo alla criminalità organizzata? È una persona in grado di influenzare pesantemente chi gli sta intorno, come pare emergere anche dai racconti dei due processi, di primo e secondo grado, finiti con i testimoni indagati o condannati per false deposizioni? A passare nei paesi dei Cutrì, l’impressione è che in ogni caso non sia persona di cui si parli volentieri, di certo non oggi.
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