Com’è la situazione a due mesi dall’arrivo dei rifugiati?

Sono passati oltre due mesi da quando i primi profughi sono arrivati in città. “Da lunedì hanno iniziato la scuola di italiano” spiegano i gestori del centro che ribattono alle polemiche: “Sono pretestuose, qui non ci sono clandestini"

Sono passati oltre due mesi da quando i primi rifugiati hanno messo piede a Busto Arsizio. Due mesi durante i quali i riflettori si sono accesi su quel palazzo di via dei Mille all’intero del quale, ad oggi, sono ospitate circa 70 persone. «Le cose stanno andando decisamente meglio -spiega Roberto Garavello, uno dei gestori del centro- sia sul piano sanitario che su quello educativo».
Sul primo aspetto «la Asl sta allentando i controlli approfonditi che svolge mensilmente su ognuno dei ragazzi dal momento che ha riscontrato che le condizioni di salute sono ottime» mentre parallelamente all’interno del centro «abbiamo assunto una dottoressa per i controlli di routine».  Lunedì scorso, invece, sono iniziate le prime lezioni del corso di italiano organizzato in collaborazione con le scuole Manzoni. «Sono previste due ore di lezione, ogni giorno -annuncia Garavello- e alla fine del corso i ragazzi riceveranno anche un attestato ufficiale che certificherà la loro padronanza con la lingua». 

 

Ma sulle tante polemiche che periodicamente investono la struttura in via dei Mille, Garavello vuole che una cosa sia ben chiara: «Quelli che noi ospitiamo non sono clandestini ma persone che hanno richiesto la protezione internazionale perchè scappano da guerre, persecuzioni e violenze». In base alla richiesta presentata «si attivano le procedure previste dal regolamento di Dublino» che prevedono anche la concessione di un permesso di soggiorno temporaneo. Proprio per questo motivo «quello a Busto non è certo un CIE (Centro di Identificazione ed Espulsione) ma viene definito come CARA: un centro di accoglienza per richiedenti protezione internazionale». In questo limbo prima dell’esame della propria pratica (le prime degli ospiti a Busto dovrebbero essere valutate il prossimo mese, ndr) queste persone possono muoversi liberamente per il paese ma non superare i confini. «Una volta che il loro status sarà riconosciuto -conclude Garavello- circa la metà dei nostri ragazzi ha intenzione di lasciare l’Italia per raggiungere parenti o amici in altri stati europei».

 

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 21 Ottobre 2014
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