Una medaglia d’onore per la forza di voler ritornare
Carlo Montalbetti è stato uno degli oltre 800 mila soldati internati e costretti a lavorare come schiavi per i nazisti dopo l’8 settembre 1943
Sacrifici, orrore, paura di morire, solo per essere italiano. La sorte degli internati militari italiani – Italienische Militär-Internierte suona forse meglio – era questa: lavorare come bestie in campo di concentramento tra fame, pidocchi e botte.
Ci finì il Varesino (di Daverio) Carlo Montalbetti, classe 1917 che oggi non è più tra noi ma che ha ricevuto la “Medaglia d’onore” – onorificenza conferita a cittadini italiani, civili o militari deportati ed internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra.
Ci finirono dopo l’8 settembre 1943 un numero enorme, pari a 800 mila soldati: truppe deportate subito, senza alternativa. Oppure a cui veniva fatta la domanda: spesso si trattava di riprendere le armi per indossare la divisa del nemico invasore: l’esercito del Terzo Reich.
Fu questo rifiuto, fu in questi campi, ricordano molti commentatori che nacque la base per costruire un futuro di pace in Italia.
Lo hanno ricordato oggi a Villa Recalcati le tante autorità che hanno applaudito la storia di Carlo Montalbetti: militare di leva dal 24/5/1938, è stato trattenuto alle armi ed ha partecipato alla II^ Guerra Mondiale, inquadrato prima nel 32° Reggimento Artiglieria da montagna “Marche” di base a Padova, poi nel 10° Battaglione someggiato e dal 1940 nel 7° Battaglione con il grado di soldato scelto .
L’11 aprile 1941 è stato imbarcato a Bari sul piroscafo “Quirinale” con destinazione Albania ove ha partecipato alle operazioni belliche.
Spostato successivamente in Croazia, il 9 settembre 1943, immediatamente dopo l’armistizio, è stato catturato dai Tedeschi ed internato in un campo di detenzione in Austria e sottoposto a lavoro coatto in uno zuccherificio.
Il 27 giugno del ’45 venne liberato dagli alleati, rimpatriato e posto in congedo dopo due mesi.
“Nel periodo dell’internamento il Sig. Montalbetti ha sopportato il peso della privazione della libertà e le dure condizioni di lavoro a cui erano costretti i prigionieri di guerra, riuscendo con coraggio a superare le pesanti prove a cui è stato sottoposto” si legge nell’encomio.
La medaglia è stata consegnata nella mani della figlia e del nipote (in alto insieme al prefetto e al sindaco di Varese), che commossi hanno ricordato di come Carlo (nella foto qui affianco) abbia preferito non raccontare, tenersi dentro tutti i momenti bui.
La cerimonia è avvenuta durante l’inaugurazione della mostra “Perché non accada mai più. Ricordiamo” organizzata dall’ANFFAS e Fondazione Renato Piatti Onlus.
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