Il Teatro dell’Opera di Pechino al Museo delle Culture
In mostra l’importante collezione di Rosanna Pilone dedicata alla più importante istituzione culturale di Pechino
Rosanna Pilone è stata una giornalista di origine veneziana che ha sempre vissuto a Milano, fino al 2006, anno della morte. Grande appassionata di cultura, ed in particolare di Teatro Cinese, la Pilone ha lasciato una collezione che fino a maggio è in parte esposta al Museo delle Culture di Castagnola, a due passi dal bel Sentiero di Gandria ed a cinque minuti d’auto dal centro di Lugano.
Lo ‘Jingju‘, termine composto dalle parole Jing (diminutivo della parola Beijing, cioè Pechino) e Ju (che significa Opera, rappresentazione teatrale) è, come ben si capisce, il nome originario di ciò che in Occidente è conosciuto come “Teatro dell’Opera di Pechino”, la più importante istituzione culturale della città e certo una delle più rappresentative tradizioni cinesi conosciute qui da noi.
Questo non è un teatro facile da comprendersi per un europeo, perché lo Jingju è un’arte simbolica, quasi del tutto priva di scenografia, la quale è spesso costituita solo da un tavolo, due sedie ed uno sfondo. Tutto, nel Teatro di Pechino, è evocazione: il canto, la danza, la recitazione, le acrobazie, i costumi e il trucco, vanno a costituire un sapiente canovaccio di situazioni, in cui ogni piccolo gesto, ogni colore del vestito o del rossetto, ogni oggetto assume un significato che l’osservatore deve essere in grado di interpretare, qualificare, immaginare dentro di sé. E’ una tradizione culturale, in fondo ben comprensibile anche a noi occidentali, che ben rappresenta l’Oriente ed il suo panteismo, attraverso la ricerca del ‘dentro’ l’uomo, piuttosto che del ‘fuori’. Non è un caso che Rosanna Pilone, sinologa e come detto grande appassionata di Jingju, sia stata anche traduttrice per l’editore Rizzoli di autori cinesi come Lao Tze e Confucio.
Lo Jingju affonda le sue radici nella notte dei tempi: le prime testimonianze di rappresentazioni e riti bucolici non hanno meno di venticinque secoli e tutto questo tempo ha contribuito alla formazione di una tradizione molto ben definita. Ad esempio l’Opera di Pechino è sempre stata un’arte per soli uomini e, anche se recentemente la consuetudine è stata in qualche caso superata, non sono mai mancati in questo teatro millenario i ‘dan’, cioè i ruoli femminili rigorosamente interpretati da attori maschi.
E’ oltretutto suggestivo, anche se ad aver tempo bisognerebbe approfondire per verificare, il fatto che nell’immaginario occidentale il ‘dan’ è istintivamente associato ai gradi più alti nelle arti marziali.
Nel XX secolo proprio il più importante interprete di ruoli femminili dello Jingju, l’attore Mei Lanfang, ha dato il maggiore contributo alla riforma del teatro pechinese: iniziatore di una vera e propria scuola, Lanfang ha valorizzato il ruolo del corpo dell’attore, riunendo in un’unica performance il canto, la recitazione e l’elemento acrobatico. In effetti, a vedere certe immagini non si ha alcuna difficoltà ad equiparare l’abilità al corpo libero di alcuni attori d’Opera con quella dei migliori ginnasti olimpionici.
E’ lontano da noi europei, molto lontano questo teatro, ma la meticolosità di certe interpretazioni, facilmente reperibili in video anche sul web, lascia immaginare sia vero quel che si dice della preparazione necessaria ad un attore jingju:”dieci anni di prove per un minuto di performance perfetta”.
L’esposizione, costituita in massima parte da costumi, oggetti e strumenti musicali di scena, non è vasta, anche se molto bella e curata, coadiuvata da un filmato prodotto dal Museo delle Culture di Basilea che ha sottotitoli in lingua tedesca. E’ adatta a chi ha un interesse specifico per il teatro o per la cultura e l’oggettistica orientale.
L’ingresso di 12 franchi non è dovuto il prossimo 1 marzo, prima domenica del mese, quando tutti i musei luganesi avranno accesso libero.
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