La rivoluzione digitale non ha tolto centralità al mestiere del giornalista

Claudio Del Frate ricorda i tempi del Circolino e riflette sul cambiamento del modo di lavorare del giornalista, ruolo che non ha perso la sua centralità nel mondo dell'informazione

La storia e i numeri di Varesenews

Il mio sbarco su Varesenews, e dunque su internet, avvenne un sabato di ottobre inoltrato dell’anno 2000. Da poco avevo dato alla mia vita professionale la svolta che mi avrebbe portato di lì a qualche anno nel luogo dove mi trovo ora e quella svolta comprendeva anche l’esperimento sul web, allora poco più che un ufo. Di quel sabato ricordo un medio stillicidio di notizie (un incendio in un condominio, l’inaugurazione di una mostra a Villa Panza, qualche scampolo di cronaca giudiziaria) gestito con relativa agilità. Verificavo le notizie, buttavo giù il pezzo e – oplà – pochi minuti dopo era già sul sito. Sensazionale. Era un internet primordiale, si viaggiava a 56K con l’incubo permanente che il server andasse arrosto e foto e video erano pura fantascienza; social network neanche a parlarne.

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Detto questo in quella giornata d’esordio ci fu tempo anche per un po’ di goliardia: la redazione di Varesenews quel weekend era in gita a Londra e noi rimasti a casa ci inventammo la notizia che Marco Giovannelli era volato oltremanica per ritirare un premio all’innovazione. Tempo poche ore e fioccarono le mail di felicitazioni.

Racconto questi dettagli non per colore o per nostalgia ma perché, a guardar bene, in quel sabato d’ottobre compaiono già tutti i cromosomi dell’informazione via web di oggi: il ritmo incalzante della notizia, il rapporto immediato con la comunità dei lettori e anche la permeabilità del sistema alle bufale. I quindici anni che sono seguiti, in termini di cambiamento, corrispondono a qualche era geologica: nel giornale in cui lavoro oggi qualsiasi barriera tra carta e web è caduta e da tempo ho imparato a fare servizi in voce e in video, a gestire dirette, forum con i lettori, a cimentarmi con il microblogging; non si è trattato di una scelta, ma di una necessità, l’alternativa, non ancora del tutto scongiurata, è fare la fine dei dinosauri. Per quanto mi riguarda, comunque un gran divertimento.

Certo, ciò ha significato rivoluzionare il proprio bagaglio professionale, gettare a mare la cassetta degli attrezzi con cui affrontavamo la notizia, modificare abitudini e linguaggi; molto devo a persone e colleghi incontrati in questi anni, qualcosa allo spirito autodidatta ma la “scuola dell’obbligo” l’ho frequentata a Varesenews e questo mi lega indissolubilmente a quell’esperienza. Anche in termini di affetti. Resto convinto che la strada imboccata quindici anni fa sia stata una buona strada, quella giusta anche se questo ha spalancato davanti a tutti noi un oceano di interrogativi irrisolti. A cominciare dal più assillante: come si vendono oggi le notizie? Come sta in piedi una testata che mette a disposizione informazione gratuitamente? Chi avesse la risposta in tasca è fin d’ora candidato tanto al Nobel dell’economia che a quello della letteratura.

Tra mille dubbi, una certezza ce l’ho e questa mi divide dal pensiero “mainstream” di tanti adepti del web: la rivoluzione digitale non ha tolto centralità al mestiere del giornalista, a chi si incarica di mettere un po’ d’ordine nella marea dei cocci sparsi di fatti piccoli e grandi. I social network traboccano di post saccenti, Instgram mette a disposizione milioni di immagini, Youtube fa altrettanto con i video ma sono tonnellate di fuffa. Senza l’intervento del giornalista – quello che sa muoversi anche sulla rete, con i nuovi strumenti – ci troveremmo tutti appiattiti al livello di quel tizio che anni fa postò su twitter tutto divertito che sopra i tetti della sua casa in Pakistan volteggiavano elicotteri americani. Sono venuti a stanare Bin Laden, cetriolo!, ma senza i giornali tu non l’avresti capito mai.

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Pubblicato il 13 Aprile 2015
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