Redditi più poveri, attenzione alla deflazione

Massimiliano Serati, docente della Liuc, commenta i dati dell'indagine dell'Ufficio Studi della Camera di Commercio relativa alle dichiarazioni dei redditi

massimiliano serati

L’indagine sui dati delle dichiarazioni dei redditi realizzata dall’Ufficio studi della Camera di Commercio ha rivelato il progressivo impoverimento dei varesini nel periodo che va dal 2008 al 2013. Nell’analisi si sottolinea l’impatto dell’inflazione che ha eroso di anno in anno il potere d’acquisto dei contribuenti e  si accenna anche agli effetti della deflazione che si è manifestata a partire dal 2014. «È un meccanismo diabolico che paralizza la domanda e non permette all’economia di crescere» dice Massimiliano Serati, docente della Scuola di economia e management dell’Università Liuc di Castellanza, commentando i dati dell’indagine.

Professore, la deflazione potrebbe accentuare la polarizzazione della ricchezza avvenuta negli ultimi anni?
«In qualche modo la favorisce perché se lei oggi mi presta cento euro, immaginando che il costo della vita è pari a uno, il potere d’acquisto del denaro che mi sta prestando è pari a 100. Quando il contratto scade e io le restituisco il denaro, ma il costo della vita si è dimezzato a causa della deflazione, il valore di quei 100 euro è raddoppiato. Io che avevo un debito ci ho perso, il creditore ci ha guadagnato. La deflazione è diabolica perché ha effetti stravolgenti sulla vita delle persone e delle organizzazioni, ma questo non viene percepito. D’altronde è un evento raro che non siamo abituati a maneggiare»

Ma come influisce sulla vita delle singole persone e delle imprese?
«La deflazione incide su due fronti: uno è quello delle famiglie e i loro comportamenti e l’altro è quello delle imprese. Per quanto riguarda le famiglie si accompagna all’aspettativa di un’ulteriore deflazione e quindi porta a posticipare i consumi: prima di spendere attendono che si realizzi un’ulteriore diminuzione dei prezzi. A rischio sono anche i grandi debitori, pensiamo alle imprese e a quanto diventa oneroso il prestito chiesto alle banche. Il governatore della Bce Mario Draghi fa riferimento spesso a questo meccanismo nelle sue conferenze stampa, non la chiama deflazione, ma aspettativa di un’ulteriore aspettativa».

Spesso si riconduce la situazione d’impoverimento all’ultima pesante crisi. È corretto?
«Non c’è un nesso di causa ed effetto diretto con una singola situazione, ma un effetto riconducibile al sistema che è stato colpito da una sequenza di eventi che avrebbero steso un toro: la crisi del 1992, gli enormi sacrifici fatti per entrare nell’aera euro, il patto di stabilità, la grande crisi americana e a seguire quella del debito pubblico sovrano in Europa. In questo quadro complessivo aggiungiamo come effetti collaterali la perdita di posti di lavoro, il frazionamento dello stesso, le partite iva che non hanno retto l’urto della crisi, l’esplosione della cassa integrazione».

I dati estrapolati dalle dichiarazioni dei redditi sono uno specchio di questa situazione complessa?
«
Penso che le dichiarazioni dei redditi contengano due aspetti, uno economico e l’altro sociale. Ci sono stati negli anni buoni della nostra economia molte iniziative imprenditoriali individuali, partite iva nate sull’entusiasmo di un ciclo positivo, persone che magari prima non avevano un reddito e che si sono inventate un lavoro. Poi è arrivata la crisi che ha falcidiato questi nuovi lavoratori autonomi, le partite iva sono state chiuse e quei giovani sono ritornati a vivere nel nucleo originario. Questa forma di welfare, che viene chiamato familiare, è stata provvidenziale perché ha sostituito la mancanza di altri ammortizzatori sociali pubblici».

È stata intaccata anche una quota di risparmio per vivere, questo spiegherebbe la contrazione della domanda?
«Il risparmio è un po’ quello che ci ha consentito di sopravvivere negli anni peggiori della crisi. Ora le famiglie fanno quello che fanno le imprese quando gestiscono le scorte di magazzino:  passata la fase critica tendono a ricostituire la dote di risparmio intaccata negli anni precedenti. Alcuni settori hanno ricominciato a produrre, ma la domanda interna è ancora troppo bassa».

Questo quadro di impoverimento generale è collegato ai mancati investimenti delle aziende?
«È innegabile che ci sia un effetto volano del sistema. In Italia e a Varese abbiano straordinari esempi di settori ad alta competitività e al contempo tanti settori a bassa produttività e scarso valore aggiunto rispetto ai competitori europei. Le ragioni sono molteplici perché si risente del carico fiscale, della burocrazia, la difficoltà di accedere al credito. Ma se le tue produzioni sono a basso valore aggiunto ne risentono anche i redditi e le retribuzioni».

Che cosa servirebbe in questo momento per riattivare il volano positivo?
«Servirebbe un cambio di passo da parte di alcuni imprenditori perché le regole della competizione sono in continua evoluzione, scegliendo anche percorsi di rete o di cluster. Per alcune imprese non è un fatto di ciclo economico ma è un fatto strutturale. È chiaro che il contesto non aiuta perché se carichi troppo un purosangue questo non galoppa. Per fare un passo in più ci vuole coraggio, che molti hanno già messo nelle loro scelte, perché il ricordo del successo del passato non basta più».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 23 Aprile 2015
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