La lezione di vita del professor Bob Morse

Il campionissimo della Ignis ha tenuto un incontro nell'Aula Magna, parlando della sua esperienza varesina negli anni d'oro della nostra pallacanestro

Bob Morse all'Università dell'Insubria
«Perché non sono mai andato nella NBA? Per diversi motivi: tecnici, economici. E poi perché conosco il clima glaciale di Buffalo, la cui squadra mi aveva scelto al draft: quando ho preso una decisione ho pensato a Varese nel sole di maggio, a giornate come quella di oggi e non ho avuto dubbi. Niente NBA, sono tornato qui».

Bob Morse, nove anni a crivellare retine sui campi da basket di tutto il mondo con la maglia di Varese, spiega così il motivo che lo ha spinto a proseguire la sua avventura in Italia nonostante le richieste dei professionisti americani (i Buffalo Braves sono poi diventati gli attuali Los Angeles Clippers ndr) e lo fa davanti a una platea per lui nuova, gli studenti dell’Università dell’Insubria di Varese. Ragazzi che di Morse hanno solo sentito parlare o hanno letto sui libri di storia del basket, e che restano affascinati quando il micidiale tiratore della Ignis racconta alcuni aneddoti della sua carriera. Come il 10 su 10 del secondo tempo al suo esordio in gialloblù, che spense i mugugni di chi non capiva perché Varese si era dovuta privare (in campionato) dell’idolo Manuel Raga. O come i 62 punti messi a segno in un’unica partita, record ancora imbattuto per la Pallacanestro Varese, score che come ha giustamente ricordato il rettore Alberto Coen Porosini, oggi varrebbe da solo la vittoria di una partita.

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Ma Morse non ha certo voluto tracciare la propria agiografia nell’incontro dell’aula magna di Bizzozero: piuttosto ha preso molto seriamente il “tema” che gli era stato assegnato, quello di spiegare come un giovane americano ha potuto vivere gli anni d’oro del basket varesino. Da buon professore – Bob insegna lingua e cultura italiana al St. Mary College, nell’Indiana – l’ex ala della “valanga gialloblu” ha quindi preparato un discorso che, oltre ai risvolti personali come quelli riportati a inizio articolo – ha toccato aspetti di storia del basket e di storia d’Italia. Dalle domeniche in cui anche i giocatori dovevano raggiungere Masnago con i bus di linea per la crisi petrolifera, alle apprensioni per la diossina di Seveso fino ai timori per gli attentati degli anni di piombo.

Ad introdurre Morse, oltre al rettore, sono intervenuti il sindaco Fontana che nel 2009 gli consegnò la cittadinanza onoraria («quella targa, la foto e un’immagine del Monte Rosa sono appese nel mio ufficio di professore») e Toto Bulgheroni: «Ho un rammarico – ha detto l’industriale – smisi di giocare prima dell’arrivo di Bob e non sono riuscito ad averlo in squadra quando divenni dirigente. Ma ce l’ho come amico e questo mi ripaga delle mancanze».

Dopo il suo intervento, Morse è stato “pungolato” in una tavola rotonda dalle domande del presidente del corso di laurea di scienze della comunicazione affiancato dai giornalisti Claudio Piovanelli, Enrico Minazzi e dal fotografo Carlo Meazza. Tra il pubblico a rappresentare quella squadra magnifica anche “Zagor”, Marino Zanatta oltre a una “delegazione” della Pallacanestro Varese con Pozzecco, Ferraiuolo, Jemoli in prima fila.

Damiano Franzetti
damiano.franzetti@varesenews.it

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Pubblicato il 14 Maggio 2015
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