“Non penalizzate il nostro centro d’eccellenza”
Il progetto dell'azienda ospedaliera di Varese di concentrare l'attività di assistenza dei problemi dell'udito nella fascia pediatrica ha allarmato i pazienti dell'audiovestibologia
Le 800 famiglie dell’Associazione Aguav sono in fermento. Le parole del direttore generale dell’azienda ospedaliera di Varese Callisto Bravi circa il futuro del reparto di audiovestibologia sono risuonate come un depotenziamento dell’attività che da 25 anni è cresciuta in termini quantitativi e qualitativi tanto da diventare un centro d’eccellenza nazionale.
Una petizione, con centinaia di firme, è stata presentata allo stesso direttore Bravi e in Regione: « L’audiovestibologia è divenuta in 25 anni un centro di eccellenza per la cura della sordità e la sordità non ha età – sostiene la presidente di Aguav Tiziana Basso Roi – AGUAV ritiene che la Sanità dovrebbe preoccuparsi innanzitutto di benessere e salute del cittadino, di presa in carico della persona malata e lasciare l’integrazione ai politici. AGUAV ritiene prioritario che venga rispettato il diritto alla cura e la libertà di scegliere dove farlo. I pazienti sordi non hanno nessuna intenzione di dimostrare integrazione verso altri centri che non garantiscono i risultati che a Varese si ottengono. L’AUDIOVESTIBOLOGIA e’ e deve essere il CENTRO DI RIFERIMENTO REGIONALE PER LA CURA DELLA SORDITA’, perché solo qui i pazienti , bambini ed adulti, sono certi di raggiungere i risultati che permetteranno di superare la loro malattia e sono proprio i risultati ottenuti a testimoniare e a garantire l’eccellenza di Varese, primo centro italiano ».
Ciò che si teme è quello di limitare un’attività che si è sviluppata tecnicamente ma anche scientificamente nell’intero campo della sordità che può insorgere in età pediatrica ma può subentrare in ogni fase della vita : « I bambini che vengono impiantati vanno seguiti per tutta la vita e non può essere un’età anagrafica a escluderli da un centro che ha dimostrato di saperli aiutare a migliorare la propria qualità della vita».
Il timore è che, nella riorganizzazione regionale delle attività sanitarie, si considerino più le spartizioni che le reali qualità dell’offerta.
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