Via Francigena 15esima tappa: da Radicofani ad Acquapendente

Il racconto della 15esima tappa del viaggio sulla Via Francigena del direttore di VareseNews, Marco Giovannelli

via francigena 15esima tappa

La Via Francigena è stata una grande arteria di comunicazione. Portò sviluppo, attività e anche tanti traffici.
Aveva in se tutti i caratteri tipici dell’innovazione e delle contraddizioni che questa porta. Ogni cambiamento ha  una doppia faccia. Da una parte le novità fanno avanzare idee e progetti, dall’altra scuotono lo status quo e questo per molti è faticoso da accettare. 

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Questo valeva mille anni fa come vale ancora oggi. Può esser analizzato guardando ai fatti storici collettivi, ma anche alla condizione del singolo esser umano.
Così ieri sera mi sono trovato per la prima volta a riflettere e discutere con una persona che sta dedicando parte della propria vita ai cammini di fede e in particolare alla gestione di un ostello per pellegrini della Francigena. Per lui la crescita del numero di soggetti che la percorrono è foriera di problemi. “Arrivano sempre più persone che prendono il cammino come una sola occasione di turismo a basso costo. Poi per molti amministratori locali il valore del marchio è potente e fiutano occasioni di business e così si snatura la caratteristica principale del pellegrinaggio”.

La sua riflessione ha delle ragioni, ma contiene in se un germe molto pericoloso che è quello del bisogno di una certificazione del pellegrino. Io credo che possano coesistere modi diversi di vivere e sentire il cammino anche della via Francigena. C’è chi la fa per fede, chi per coronamento di un sogno, un progetto, chi perché è alla ricerca di qualcosa, chi ama la natura e i luoghi che vengono attraversati, chi adora l’avventura, chi perché si incontrano persone. E chissà quante altre motivazioni ci saranno.

Allora penso sia importante il rispetto perché ognuno possa trovare ciò che cerca. In questo è vero che serve pensare a una sorta di maggiore attenzione ai pellegrini che percorrono lunghi tratti rispetto a quelli del week end e poco altro. I pochi ostelli dovrebbero vedere sempre la precedenza per chi compie tutto o meta cammino almeno. Ma questo si può fare facilmente. E pensare che ci sono forme intermedie di vivere la Francigena è solo ricchezza e non quella economica, ma quella dell’anima. Questo è un argomento importante che riprenderò in altre occasioni.

La tappa di oggi sarebbe stata soft, se non fosse per il caldo che aumenta ogni fatica. A differenza dei giorni scorsi oggi “siamo andati in cordata” come ha detto Alberto che ha fatto a lungo il passo. Abbiamo tenuto una media di oltre 4,6 km all’ora che per me sono un vero record. È ovvio che facciamo almeno un paio di pause abbastanza lunghe. La prima oggi è stata occasione di festeggiamenti per Richard che ha offerto da bere a tutti e quattro perché a Ponte a Rigo, poco prima di lasciare la Toscana, ha superato i duemila chilometri percorsi da quando il 7 aprile è uscito a piedi da casa sua. Zaino in spalla, il sessantunenne olandese ha attraversato il suo paese, il Belgio, la Francia, poi è entrato nella Val di Susa e da lì poi ha percorso tutta la Via Francigena. Oggi era contento e brindare in quattro con due ragazzi entusiasti che lo seguono con affetto è stato un bel momento.

Alle 11 di questa mattina abbiamo poi salutato la Toscana per entrare nel Lazio e specificatamente in provincia di Viterbo dove resteremo per quattro cinque tappe. L’arrivo ad Acquapendente è stato nelle ore più calde, ma restando “in cordata” siamo riusciti ad arrivare tutti insieme. Il paese del viterbese è stato un punto nevralgico della Francigena ed ebbe un grande sviluppo grazie all’importante arteria. La sua storia è stata molto travagliata e fatta di tanta dominazione.
Curioso il passaggio dalla laica Radicofani dove un bandito seppur considerato gentiluomo diventa un eroe che riscatta gli ultimi. Ad Acquapendente, come spesso capitava è stato necessario un miracolo per cacciare il dominatore. Lo spiega benissimo Don Enrico Castauro in un opuscolo per la festa della Madonna in fiore che si tiene nella terza domenica di maggio in ricordo di un miracolo che permise la liberazione del paese dal tiranno.

“Un ciliegio secco che improvvisamente si ricopre di verdi gemme e di freschi fiori! Ecco finalmente il segno.
È andata più o meno così quel maggio del 1166 vicino la porta, detta allora, di Santa Vittoria, quando due agricoltori si trovavano a lavorare nella loro vigna, dove tra gli alberi era rimasto un ciliegio secco già da tempo, vicino al quale, in una nicchietta, si conservava da antica data un’immagine della Madonna.
Sorta tra loro una discussione per divergenze di vedute circa l’esito della congiura che il popolo preparava contro il tiranno, Federico Barbarossa, dal momento che l’uno si diceva fiducioso in essa è l’altro invece ne diffidava, quest’ultimo ostinandosi nella sua opinione e indicando l’albero secco esclamò: È più facile che quel ciliegio per un miracolo della Madonna fiorisca piuttosto che i nostri concittadini riescano a liberarsi dal giogo del tiranno”. Il ciliegio fiorì!”

Certo poi verrebbe da dire che il miracolo vero è che dopo 850 anni ancora si ricorda il miracolo, mentre per gli acquesiani la liberazione fu solo un fatto momentaneo perché dopo il Barbarossa ne arrivarono non pochi a dominare il popolo. Compresa quella stessa chiesa che oggi ricorda il miracolo. Quasi ogni paese ha avuto il proprio e domani a Bolsena ne incontreremo uno che ha segnato profondamente la Chiesa. Potremmo raccontare molto altro di Acquapendente perché è una cittadina con aspetti veramente interessanti a partire dalla presenza di un Sacro sepolcro che riprende esattamente quello di Gerusalemme. Stasera dormiamo nella Casa del pellegrino gestito dalla Confraternita di San Rocco. È una struttura antica, ma molto accogliente e semplice. La giusta condizione dove riposeremo bene per ripartire domani alla volta di Bolsena.
A domani.

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Pubblicato il 04 Luglio 2015
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