Via Francigena, da Viterbo a Sutri

Il racconto della 19esima tappa del viaggio sulla Via Francigena del direttore Marco Giovannelli

marco giovannelli via francigena

E all’improvviso il lago è un’espressione che ho già usato nella tappa da Acquapendente a Bolsena. Forse è ancora più appropriata oggi, quando dopo una scarpinata di undici chilometri e cinquecento metri di dislivello, ci siamo ritrovati nel punto di lancio dei deltaplanisti sul lago di Vico.

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Il punto panoramico, malgrado non ci fosse una luce eccezionale, è davvero notevole. Sullo specchio d’acqua si affacciano il Monte Fogliano, verso la via Cassia, e il Monte Venere. In fondo, nel punto in cui sembra aprirsi un varco tra la vegetazione, c’è Punta del lago e subito dopo la strada tutta in discesa porta nel centro d Ronciglione e da lì a Sutri dopo l’ultimo pezzo di sei chilometri.

Per avvicinarci a Roma abbiamo scelto la variante Cimina in modo da tagliare una tappa, ma anche di procedere lungo una strada più alta e quasi sempre ombreggiata. La tappa da Viterbo a Sutri è lunga 33 chilometri. Va detto subito che è davvero il lago e la sua vegetazione il vero protagonista perché altrimenti non ci sarebbe molto altro. Ripaga un po’ Sutri con la sua bella piazza, e soprattutto con l’anfiteatro.

Da Viterbo siamo ripartiti in sei. Il nostro collaudato gruppetto di tre, Franco che arriva da Torino e ha già percorso diverse tappe partendo da Radicofani, e poi due ragazzi da Pistoia che sono partiti da Bolsena e arriveranno fino a Roma.

Dal punto panoramico in poi con Richard e Alberto abbiamo sempre camminato insieme. Prima l’olandese e poi io abbiamo impresso una velocità davvero sostenuta superando i cinque chilometri all’ora. Potrà sembrare poca, ma vi assicuro che con lo zaino e il gran caldo quello è un ritmo davvero tosto.

Su Viterbo sarà importante aprire una riflessione perché la sensazione è che la città sia abbastanza all’oscuro della storia della Francigena. Questo si riflette anche sui pellegrini. Va detto però che per le città la dimensione del cammino assume caratteri diversi, ma realtà come Siena stanno investendo molto sulla storia di questa esperienza. Lo fanno per valorizzare il territorio, ma anche per permettere ai cittadini di avvicinarsi e conoscere di più la Francigena.

In alcuni casi, e a Viterbo questo è apparso ancora più chiaro, si avverte una sorta di grande paradosso. Il cammino è fatto di tanti aspetti, ma l’incontro è il cuore dell’esperienza. Questo sembra mancare nella mia città. È un po’ come se ogni realtà vivesse isolata dal resto. Il passaggio di mille pellegrini dalla sola torretta Pio VI alla Trinità, “per la città è come non esistesse” mi ha detto Domenico, il volontario responsabile della struttura. Questo è un peccato, tanto più se pensiamo che passa il mondo intero, visto che sono arrivati da 49 diversi paesi.

Mi nasce però spontanea la domanda su quanto sia lo sforzo da parte di chi è coinvolto di aprire le porte e coinvolgere ancor più istituzioni e altri soggetti. A volte sembra quasi che la cosa più importante sia mantenere una certa purezza dell’esperienza del Pellegrino. Questo ha molte ragioni ed è fantastico il lavoro dei tanti volontari, ma credo sia altrettanto importante allargare la partecipazione non per farne un business, ma per avviare anche nuove forme di partecipazione e perché no, anche di occasioni di lavoro.

Tutto questo, di fronte alla maestosità del panorama del lago di Vico, risuona ancora più forte.

Ci tornerò. Intanto da una delle panchine dell’Oasi di pace sento le cinque sorelle francescane che stanno pregando e cantando. Con loro si sente solo il frinire incessante delle cicale.

Siamo a pochi chilometri da Roma e ormai si inizia a pensare a sabato quando entreremo in piazza San Pietro. Ma anche per questo c’è tempo. Ora godiamoci i canti e le cicale…

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Pubblicato il 08 Luglio 2015
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