Il grande sogno di Claudia

Il racconto di Claudia Ronchetti dopo l'impresa della Transamerican trail con una pedalata lunga settemila chilometri e dieci stati americani attraversati dal Pacifico all'Atlantico

La transamerica trial di Claudia Ronchetti

«Ho visto un’America che non si conosce e di cui si parla poco». 

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Claudia Ronchetti e la sua Transamerica trail 4 di 37

Claudia Ronchetti è tornata da pochi giorni ed è ancora grande la sua emozione per l’ultima impresa. Ha attraversato in sella alla sua bici tutti gli Stati Uniti coast to coast, al Nord, nelle terre più selvagge e autentiche. Oltre sette mila chilometri in due mesi con ben 56mila metri di dislivello.

«I primi quattromila sono stati fantastici. In mezzo alla natura quasi incontaminata ho percorso deserti, foreste e piccolissimi centri. La mia sorpresa più grande è stata l’ospitalità delle persone e grazie a questa ho dormito una ventina di notti nelle case».

Partita l’8 giugno da casa, una volta atterrata a Portland, ha attraversato dieci stati quali l’Oregon, Idaho, Montana, Wyoming, Colorado, Kansas, Missouri, Illinois, Kentucky, Virginia per ripartire poi il 17 agosto alla volta di Marchirolo.

Una lunghissima pedalata sulle tracce della Trans America bike rice, una delle gare più difficili e impegnative di tutto il mondo lunga circa cinquemila chilometri. Claudia, non contenta, ne ha aggiunti altri duemila. Ha trovato ogni genere di temperatura, dai quattro gradi dell’Hoosier pass in Colorado a quota 3.517 ai cinquanta in Kansas che le hanno mandato in tilt anche le dotazioni tecnologiche che aveva con sé. Lungo gran parte del percorso Claudia ha aggiornato una pagina Facebook con foto, testi e video.

Quando la incontriamo i ricordi sono ancora tutti molto vivi e presenti.

Qual è l’emozione più grande in un viaggio come questo?
«Il deserto. Ne ho attraversati per quattro mila chilometri. Lì dentro ti senti piccola piccola, ma si prova un grande senso di libertà mentre lo percorri. Poi l’accoglienza delle persone. Questa è stata per me inaspettata. L’ho detto tante volte e mi piace ricordare una delle prime notti quando scrivevo” Il nulla più assoluto….ma, alle 8 di sera, una gran botta di fortuna, una famiglia, vedendomi pedalare ancora, mi chiede se ho piacere a cenare con loro. Costine, buon vino e mi fanno piantare la tenda nel loro giardino. Una bella doccia e tutta la sera in giardino davanti al fuoco”. Ho incontrato persone diversissime tra loro. Dagli Hillbilly agli Hamish, ai tanti cow boy e indiani di diverse riserve».

Scrivevi di questi…
«Il Wyoming è per eccellenza lo stato dei cowboy. Ma oggi sono stata nelle riserve di Arapaho e Shoshone di Wind River. Tutto avrei pensato ma non di finire proprio qui! Bene, 130 km tra montagne rosse e deserto. Qui il nulla abbonda, il silenzio ed il caldo sono i protagonisti di questa giornata indimenticabile».

Qual è stata invece la difficoltà e la paura maggiore?
«La difficoltà era quella di trovare il cibo e soprattutto l’acqua. Ci sono stati giorni che percorrevo cento chilometri in mezzo davvero al nulla. Loro hanno un’idea diversa delle distanze. Ho dovuto più volte lavarmi nei fiumi o in pozze perché non trovavo acqua. La paura più grande l’ho provata nel Kentucky quando ho rischiato un rapimento. Arrivata in un piccolo villaggio mi hanno accerchiata e l’ho scampata solo grazie all’intervento del pastore che mi ha ospitata in chiesa e poi al mattino dello sceriffo. Rileggo quello che ho scritto quel giorno. “La partenza dalla chiesa di Booneville non è stata delle migliori, tutt’altro. Dopo aver pedalato qualche chilometro lo sceriffo e la polizia mi dicono di accostare e mi vietano di proseguire sola dicendomi che è un posto molto molto pericoloso. Mi caricano in macchina e mi dicono che ho rischiato il rapimento. Non credevo di essere così tanto in pericolo, avrei certamente trovato una soluzione prima. Mi accompagnano per 70 km dove trovo un vecchio amico in bici ad Hazard che si offre di pedalare insieme a me questi due giorni altamente rischiosi”. Quello è stato l’unico momento davvero da paura. Poi l’altro problema serio, sempre in quello stato, sono stati i cani. Hanno tentato di azzannarmi più volte e mi sono dovuta dotare di sistemi per poterli affrontare».

Senso di solitudine…
«Proprio no. Non ho mai vissuto l’attimo come in questa avventura. Ogni tanto mi voltavo intanto che pedalavo e, con un po’ di nostalgia, mi rendevo davvero conto che quello che avevo visto un attimo prima era già passato. Ho incontrato tante persone, nessun italiano, e ogni tanto facevo pezzi di strada con qualcuno, ma non mi sono sentita sola».

Hai mai avuto problemi con la bici?
«Qualcuno, ma fortunatamente li ho sempre risolti. Solo un volta ho avuto bisogno di un negozio specializzato e lì ho capito cosa significhino le distanze per loro. Quel posto era lontano 600 chilometri».

Avevi tanta attrezzatura tecnica?
«Si anche perché malgrado questa la bici pesava complessivamente trenta chili. Ho avuto diversi sponsor tecnici che mi hanno permesso di avere un ottimo abbigliamento che mi ha tenuto caldo nei momenti molto freddi. Inoltre una società americana mi inviava in alcuni uffici postali integratori, sali e barrette energetiche, molto utili nei diversi momenti che non avevo trovato cibo».

E il rientro come è stato?
«Traumatico perché torni in un posto che negli ultimi mesi non ti è più appartenuto. È bellissimo riscoprire tante comodità dopo che vi hai rinunciato. Il tuo letto, la tua doccia, il frigorifero sono cose che diamo per scontate e invece non lo sono. Ritrovarle è stato bellissimo e un’esperienza come quella appena fatta ti fa apprezzare ancora di più ciò che hai».

Scriverai qualcosa ancora del viaggio?
«Mi piacerebbe molto sia per me, ma soprattutto perché possa esser utile ad altre persone. Quell’America è davvero sconosciuta e non esiste quasi nulla in italiano».

Stai progettando una nuova avventura?
«Si. Voglio andare in Patagonia. Mi sono già informata e spero di partire a fine gennaio. Dicono che sia una delle terre più belle del mondo. Farò meno strada, ma so che sarà più faticosa perché gran parte è su sterrato e poi lì c’è sempre un forte vento. Inizierò presto la preparazione».

Certo che conciliare tutto questo con il lavoro non è facile. Stai pensando di farlo come professione?
«Mi piacerebbe. Certo è un grande sogno… un’utopia…»

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Marco Giovannelli
marco@varesenews.it

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Pubblicato il 22 Agosto 2015
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