Il Gingko

Il Gingko

Il giorno 7/10 decido di andare a funghi, è tardi ma basta scegliere un posto vicino e si può sperare in qualche bon risultato. Scelgo come destinazione il Poggio, prima delle 9.30 ma trovo il parcheggio intasato dalle auto, non mi perdo d’animo perché ho con me la macchina fotografica   e pertanto il tempo potrà non essere rilevante se trovassi qualche cosa di un certo interesse per l’articolo.

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Il Gingko 4 di 14

Arrivato nel bosco vedo segnali interessanti, si tratta di funghi non commestibili o di scarsa commestibilità ma né colti e poi abbandonati e neppure calpestati è buon segno vuol dire che chi è passato da qui è conoscitore dei funghi e delle sue modalità di ricerca mi  sposto in una parte del bosco con maggior pendenza e quasi subito trovo un Boleto a testa rossa (1) (Boletus pinicola) che in verità fatico a riconoscere, il tutto mi dà energie per proseguire nelle  ricerche che però non danno risultati accettabili salvo quello di ridurre il tasso zuccherino del sangue. Il giorno 8/10 decido di prendere i giardini pubblici e fotografare gli elementi vegetali che ritengo di un certo interesse.

Il primo giardino nel quale mi reco è quello del Castello di Masnago dove gli aceri che mi aspettavo già in colori autunnali sono ancora tutti di bel colore verde mentre il Gingko (2,3,4) (Gingko biloba) è a buon punto nell’assumere la colorazione autunnale completamente gialla, cerco un esemplare con le foglie a portata da poter realizzare foto senza bisogno di scale o di zoom particolari, lo trovo un poco più in alto ed è una femmina di Gingko perché è carica di frutti.

Questa pianta, che a Varese è presente in parecchi giardini, ha esemplari di particolare bellezza in quello di villa Mirabello, quello vicino all’area giochi degli Estensi e quello di villa Toeplitz, è tra gli organismi vegetali più vecchi e solo negli ultimi secoli diffusa in tutto il mondo perché i giardinieri hanno realizzato che il suo impianto da, quasi sempre, un buon risultato anche se realizzato con talee, la pianta è da considerare un  testimone preistorico, la foglia dalla caratteristica forma a ventaglio a 2 lobi grandi ciascuno dei quali presenta dei piccoli lobi, il frutto è una drupa che matura al termine dell’autunno ed è prodotta dopo quasi 20 anni dallo sviluppo della pianta creando qualche difficoltà al proprietario per l’odore marcescente delle drupe che mature, cadono a terra.

Un altro albero che attrae l’attenzione è il grosso Leccio(5,6,7) (Quercus ilex), una quercia dei climi asciutti ma che è stata impiantata in quasi tutti i parchi varesini perché è un sempreverde facilmente rintracciabile anche nel centro Italia, questo del Castello di Masnago è però un esemplare notevole per le dimensioni raggiunte, la forma classica ovoidale delle sue fronde, si consiglia di esaminare le foglie che, pur avendo meno marcate le caratteristiche originali si presentano molto lucide nella pagina superiore perché un strato di cera chiude i pori per ridurre l’evaporazione analogamente la pagina inferiore risulta biancastra per una lanuggine tendente a ridurre le traspirazione, anche le ghiande sono ricercate dagli animali selvatici. Scendo qualche gradino e mi trovo davanti a dei fiori di zucchina (8) (Cucurbita pepo) poi in un cartello vicino trovo la motivazione trattasi di esperienza collegata all’EXPO che collega le coltivazioni dell’orto alla presenza di animali in particolare di farfalle. Davanti alla villa fa sfoggio un Corbezzolo (9,10) (Arbutus unedo) una ericacea che ha come area naturale il mediterraneo e che si trova nelle ville ottocentesche della Lombardia per diverse ragioni: come il Leccio si tratta di pianta sempreverde, la pianta fiorisce in autunno, i suoi frutti giungono a maturazione in autunno e sono di un bel rosso vivace, si sostiene anche che il motivo di ricordare  con i colori verde delle foglie, bianco dei fiori e rosso dei frutti  cioè la bandiera tricolore e quindi la volontà di unità d’Italia. Purtroppo nelle foto non si vedono i frutti perché maturati in pochi esemplari causa l’andamento stagionale per le ragioni indicate non è difficile individuare la pianta in quasi tutti i giardini esistenti da almeno 2 secoli.

Con le foglie di colore rosso violaceo un corniolo da fiore (11) (Cornus florida var. rubra) si staglia sulla discesa a fronte del prato dove giocano i bambini, caratterizzato dalle foglie che diventano di un colore rosso violaceo la mancanza di frutti in maturazione pare doversi attribuire alla giovane età della pianta. Continuo la discesa lungo un sentiero tracciato fra vecchi tassi che sono flora locale di impianto molto vecchio, e su un esemplare femminile noto gli arilli già arrossati che fanno un ottimo contrasto con il verde cupo della fronda di questi alberi che erano stati indicati come alberi della morte, e i genitori spesso ci avvertivano di non magiare i frutti se non volevamo avvelenarci, come al solito era una parziale verità quella dei semi velenosi, ma lo stomaco umano non è in grado di digerire i semi dell’arillo. Da ultimo parliamo dell’Albero dei fazzoletti (12,13) (Davidia involucrata), albero poco conosciuto, poiché le prime descrizioni risalgono al missionario in Cina Armand David nella seconda metà dell’800. Si consiglia una visita al parco fra la fine di aprile e la prima decade di maggio per vedere la brattea completamente bianca a forma di triangolo isoscele che ripara il frutto la cui maturazione avverrà all’inizio autunno.

Teresio colombo

di
Pubblicato il 12 Ottobre 2015
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