Contro il centralismo statale

Il ruolo della regione, il Pd e il futuro di un'istituzione sotto attacco

Marching band al Cardo, una è di Sumirago

Quando ascolto qualche consigliere regionale del centrosinistra parlare di Regione Lombardia ho due reazioni diverse. La prima di soddisfazione, si vede che conoscono i problemi, che li studiano, che li vivono.

La seconda, se parlano di come dovrebbe e potrebbe essere in futuro la Regione, è quasi di sconforto. Stanno così timidamente sulla difensiva che finiscono per avvalorare la tesi di chi attacca la Regione ritenendola poco utile o pressoché inutile.

Capisco bene che le Regioni sono oggi al minimo storico della loro credibilità, ma l’obiettivo è di risalire la china, di cambiare le politiche e non di piegarsi a questa deriva. Si critichi pesantemente Maroni, come deve fare un’opposizione, ma si rinsaldi l’Istituzione in quanto tale. Lo stesso modo di presentarla, la Regione, è spesso inadeguato. La prova del nove è quando si ripete come un disco rotto che i due terzi del bilancio sono per la Sanità e si dice troppo poco su tutto il resto.

Legare il destino della Regione quasi solo alla Sanità è fuorviante. Non si misura la qualità e l’importanza di un’Istituzione legislativa e di programmazione esclusivamente sulla base delle risorse del proprio bilancio senza contare il peso che ha su determinate scelte dello Stato.

Nel campo urbanistico, per fare solo un esempio, le norme valgono moltissimo, fanno la differenza fra sviluppo sostenibile e sviluppo caotico ed anomalo. Per inciso, è significativo ciò che ha potuto fare sull’Expo e ciò che ha la competenza di fare sul dopo Expo.

L’Istituzione regionale va corretta. Alcune funzioni, attribuite dall’Ulivo alla Regione (per inseguire la Lega) nella riforma costituzionale del 2000/2001,vanno riportate all’esclusiva competenza dello Stato come le grandi rete infrastrutturali ed altro ancora. Il che non significa affatto che non avranno parola in capitolo ma che la decisione finale è del governo centrale.

La riforma costituzionale in itinere corregge questi eccessi e introduce, come avrebbe giustamente voluto Gianfranco Fini nel 2000, la clausola dell’interesse nazionale. Ma come non vedere che questo clima culturale e politico porta con sé anche il rischio del centralismo romano?

Non usavo il termine “federalismo” nemmeno quando ero presidente della Commissione che ha prodotto il nuovo e vigente Statuto della Lombardia. Il motivo era semplice, sulla bocca della Lega il federalismo aveva preso i significati più disparati: oscillava da un’impostazione corretta, alla voglia di secessione, al conflitto perenne con Roma e con il Sud. Ora che Salvini ha abbandonato questi obiettivi per altri meno nobili ma elettoralmente più fruttuosi, dovrebbe essere il Pd ad assumere la bandiera del vero federalismo con convinzione, orgoglio, chiarezza di propositi.

Le armi sono il futuro dimezzamento delle Regioni, i costi standard, l’aumento dell’autonomia in certi settori previsti dalla Costituzione. Sono convinto che non siano pochi gli elettori e gli stessi dirigenti leghisti ancora sensibili a questi richiami.

La segreteria regionale del Pd sta cercando con molto impegno di percorrere la strada del rilancio istituzionale ma occorre tanta più convinzione da parte di tutto il centrosinistra con una regola che si può mutuare dallo sport e non solo: la miglior difesa è l’attacco. Il contrasto al centralismo e la conquista di una equilibrata autonomia territoriale lo esigono.

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Pubblicato il 12 Novembre 2015
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