Il “caso Varese” che non c’era

Le studentesse e gli studenti dell'Istituto Daverio di Varese hanno risposto così alle polemiche. La posizione di VareseNews spiegata dal direttore Marco Giovannelli

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Mano nella mano hanno stretto un cordone umano intorno alla loro scuola. Un minuto di silenzio che si è chiuso con un lungo applauso.

Le studentesse e gli studenti dell’Istituto Daverio di Varese hanno risposto così alle polemiche scatenate nei giorni scorsi da tanta parte della stampa e da alcuni settori della politica.

Un gesto forte da parte dei ragazzi che si sono stretti intorno alle loro compagne accusate di aver boicottato il minuto di silenzio per le vittime delle stragi di Parigi.

Il nostro giornale ne scrive oggi per la prima volta. E se non ci fosse stata questa manifestazione, non lo avremmo fatto neppure adesso.

A questo punto però ci sembra corretto spiegare le ragioni della nostra scelta. Non ci interessava fare un distinguo con gli altri giornali. Ognuno, più o meno liberamente, fa le proprie scelte.

Quel che è certo è che venivamo da giorni in cui era partita una “caccia alla notizia” che potesse confermare le responsabilità dell’intero mondo islamico dopo i fatti di Parigi. Un gruppetto di ragazzine di una scuola varesina che si è rifiutato di partecipare al minuto di silenzio era quindi una chicca da non lasciarsi sfuggire. Per di più se tutte straniere, secondo chi ha scritto il primo articolo, sparando poi titoloni in prima pagina.

Subito le reazioni forti sollecitate da una stampa solerte nel creare un “caso a Varese”. Il sindaco, un assessore e infine anche il segretario nazionale della Lega hanno tuonato contro le ragazze, e Salvini in un video parla esplicitamente del bisogno di prendere provvedimenti forti fino all’espulsione dall’Italia per le studentesse e le loro famiglie. Pazienza, se avremmo poi scoperto che c’erano anche italiane tra di loro.

Il circuito mediatico è arrivato sulla “notizia” come la cavalleria. Gran parte dei giornali ha ripreso il racconto originario, malgrado fosse pieno zeppo di frasi con il classico condizionale e con nessun dato certo su quanto fosse accaduto. In prima battuta, quasi nessuno si è preoccupato di capire davvero cosa fosse successo. Davanti a una “notizia” così ghiotta, anche se riguardava delle quattordicenni, non ci si è preoccupati di approfondire prima di pubblicare scatenando tensioni e problemi molto delicati alla scuola, e possiamo immaginarci alle ragazze.

Il giorno dopo i toni sono stati più sfumati cercando di raccontare altro, ma intanto la frittata era fatta.

Noi sapevamo alcune cose per averne parlato con la dirigente scolastica, e la valutazione fu di non scrivere una riga finché non fosse stato chiaro cosa fosse realmente accaduto. In quelle stesse ore, a seguito del comitato provinciale sulla sicurezza, avevamo avuto, come altri della stampa, un lungo colloquio con il Prefetto. Una conversazione che, tra le altre cose, aveva toccato proprio il senso di responsabilità che ogni realtà deve mettere in campo in momenti di tensione. Alimentare paure e amplificare tensioni non ha alcun senso, tanto più quando i fatti non sono come vengono raccontati.

Non è facile tenere una posizione ferma quando vedi che la stragrande maggioranza dei giornali si scatena su una “notizia”. C’è successo in diverse occasioni di scegliere una linea diversa da quella che tanti lettori avrebbero trovato su altri giornali. In questo caso abbiamo preferito il silenzio proprio per non amplificare una “non notizia”, almeno per come era stata data.

Ci sono poi diversi altri piani di lettura. Uno riguarda la libertà, un valore fondante della nostra civiltà. Scatenare la “caccia alle streghe”, tanto più quando riguarda ragazzini, deve farci riflettere tutti. Occorre unità e fermezza di fronte al terrorismo, ma questo non ci deve permettere di colpevolizzare ogni forma di dissenso.

Vedere centinaia di ragazzi manifestare pacificamente in difesa della propria scuola è importante. Tutti noi adulti però dovremmo pensare con attenzione a quanto abbiamo visto oggi. Quegli spazi devono esser aperti, luoghi di confronto e palestra per crescere. Costringere gli studenti a far una catena solidale non deve spingerli a chiudersi lì dentro perché sarebbe un altro dei segnali della nostra ulteriore fragilità.

Il “Daverio” è una istituzione importante e con progetti educativi di valore. Andiamone fieri, impegniamoci a conoscerla e a valorizzarne il lavoro.

Marco Giovannelli
marco@varesenews.it

La libertà è una condizione essenziale della nostra vita. Non ci può essere libertà senza consapevolezza e per questo l’informazione è fondamentale per ogni comunità.

Pubblicato il 21 Novembre 2015
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