Quando lo smartphone è “complice” dei ladri

Il nostro cellulare lascia tracce che possono essere intercettate dai malintenzionati. Ecco quali accorgimenti adottare per evitare di comunicare "al mondo" quando la casa è libera

ladri tetti

Non passa giorno che in redazione non arrivi una segnalazione di furti in abitazione.

E non c’è una zona presa di mira più di un’altra: i furti avvengono con “casualità” e ad orari diversi, non solo la notte.

Non è detto che siano aumentati gli episodi: con molta probabilità è solo diventato più semplice rendere pubblico quanto ci accade. Ciò non toglie che occorre tenere alta la guardia e non solo perché pare che i ladri siano sempre in azione, quanto perché oggi pare più semplice entrare non solo nelle case, ma nella “vita degli altri”.

In che senso? Ve lo spieghiamo. Quel che può agevolare il “lavoro” degli scassinatori lo abbiamo in tasca noi: parliamo dello smartphone.

E’ di questi giorni un interessante articolo pubblicato da La Stampa a firma della giornalista esperta di nuove tecnologie e cultura digitale Carola Frediani, in cui si spiega nel dettaglio come ogni giorno il nostro telefonino lasci una scia di dati, che noi lo si voglia o no.

E sempre in questi giorni circola l’intervista ad un hacker creatore di una App che stata ribattezzata “app per ladri” che consentirebbe, a chi la scarica, di sapere quando qualcuno lascia la propria abitazione.

In realtà (è aggiornamento di questa sera 16 dicembre) si tratta di una campagna di una grande compagnia di assicurazioni per sensibilizzare sul tema della privacy e della sicurezza on line, come si spiega qui).

Abbiamo chiesto a Roberto Giardina, esperto in indoor tracking (cioè di sistemi di monitoraggio interno) quanto davvero lo smartphone, e quello che noi scientemente condividiamo, possa facilitare i furti nelle abitazioni.

 Che ne pensa? Un’app così sarebbe possibile? E’ facile da realizzare?

«Il programma realizzato, da come veniva descritto, sembrava che  permettesse di automatizzare delle analisi di dati provenienti da Facebook e altri social come Twitter o Instagram o Foursquare. Se fatto così, il programma in sé non avrebbe nulla di illegale, se non le intenzioni con cui viene usato.  Le analisi raccolte e comunicate in maniera “intelligente” all’utente sono su informazioni che gli utenti dei social autorizzano ad essere pubbliche, e che il programma si limita a “mettere insieme” per dare istruzioni precise.
Un’app così concepita è simile alle analisi di marketing mirato: solo che invece che segnalare che un utente quarantenne che ama i libri è passato davanti a una libreria, segnala  anche i suoi dati personali, come per esempio il suo indirizzo e il momento migliore per non trovarla in casa. Queste analisi sono possibili anche su web, ma la possibilità di consultarla in mobilità e di visualizzarla su una mappa ad hoc ovviamente permette di verificare fino a davanti alla casa “puntata” l’effettiva assenza delle persone»

Quali dati si possono considerare “sensibili”? 

«Molto spesso tra i dati ci sono indicazioni personali come età sesso scolarità eccetera,Dati che nell’eventualità possono essere incrociati con altri. Ci sono inoltre  programmi che vengono utilizzati spesso per scopi “buoni”, come per esempio l’analisi del traffico nelle mappe di google, che derivano dalla quantità di smartphones che si muovono ad una data velocità lungo una strada».

Quindi ora prendiamo il nostro smartphone e…?
«Diciamo che dare un’occhiata alle applicazioni ammesse alla geolocalizzazione nel proprio smartphone sarebbe opportuno. Nemmeno la mania del check in aiuta la sicurezza.
Idem postare foto sui social nel momento in cui si fa una cosa: le foto hanno delle informazioni di localizzazione che permettono di comprendere che, se si è in un posto in quel momento, è impossibile essere in un altro. In questo caso, basterebbe perdere il vizio di segnalare tutto in tempo reale»

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 16 Dicembre 2015
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