L’ex poliziotto: “I silenzi degli amici di Lidia ci ostacolarono”

L'ex capo della Squadra mobile Giorgio Paolillo racconta quei giorni, e le difficoltà che dovette affrontare nell'inchiesta per l'omicidio della 21enne

La paura, ma di cosa? Erano probabilmente in buona fede i ragazzi di Cielle eppure quei silenzi non aiutarono le indagini. Secondo Giorgio Paolillo, 68 anni, l’ex capo della squadra mobile di Varese che indagò sul caso Lidia Macchi, furono proprio quelle chiusure a riccio – in Cielle, negli amici di Lidia, nella chiesa – a creare un clima impenetrabile che ostacolò la ricerca della verità.

“Che anche allora qualcuno sapesse? Non lo escludo” sospira oggi il poliziotto.  Non ci sono accuse dirette nelle parole dell’ex dirigente, ma la ricostruzione di un clima di pressioni.

“Io e il pm Abate fummo anche denunciati per sequestro di persona, perchè interrogammo per un giorno e una notte quattro sacerdoti, che però avevano fornito un alibi falso, seppure in buona fede, a don Antonio, il prete che allora era la nostra pista”.

Ricorda ancora Paolillo: “I ragazzi di Comunione e liberazione si chiusero a riccio. Mentre Stefano Binda, l’indagato, per me è un perfetto sconosciuto. Non faceva parte delle persone ritenute più vicine a Lidia”. Nel video l’intervista completa (durata 8 minuti e 30)

Roberto Rotondo
roberto.rotondo@varesenews.it
Pubblicato il 25 Gennaio 2016
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