“Per incastrare Binda ci vogliono altre prove”

Basterà l'ordinanza? L'aria che tira in tribunale a Varese e cosa dicono gli avvocati sui tanti indizi finora emersi

stefano binda

A passo veloce e con aria distratta, da qualche giorno, gli avvocati del tribunale di Varese entrano nelle aule con i loro casi, ma escono a cercare notizie di Lidia Macchi, dell’arresto di Stefano Binda. Il caso del secolo.

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Molti hanno letto gli articoli e visto la tv, qualcuno ha anche visto le carte. Rimangono certamente molti punti da chiarire, ma l’opinione che una buona parte si son fatti è che la colpevolezza di Stefano Binda sia una splendida pista da seguire, molto suggestiva, ma che ci vogliano altre prove per arrivare a una condanna in corte d’assise. Sarebbe indelicato citare le fonti, anche perché il legale di Binda è il “capo”, Sergio Martelli, presidente dell’ordine, ma il dibattito è davvero interessante.

Per “radio avvocati” rimane debole, infatti, la mancanza di una prova regina. Il test del dna sui lembi della busta ha dato risultato negativo: non è il suo e non è un caso che ieri il pg Carmen Manfredda abbia chiesto a Binda di confessare. Si pensa a una riesumazione della salma. Ma cosa si potrà trovare dopo 29 anni?

(Le prove, va detto, erano poche anche per Giuseppe Piccolomo, l’ergastolano autore dell’omicidio delle mani mozzate, che per due anni è stato indagato come autore del delitto sulla base delle accuse che gli rivolgevano le figlie e confidando in un identikit. Quest’ultimo ritraeva un uomo che nel gennaio del 1987, con baffi da mongolo, avrebbe aggredito alcune donne nel parcheggio dell’ospedale di Cittiglio. Una strada del tutto estranea alla dinamica che invece è sempre stata considerata dal pm Agostino Abate come quella che ha originato il delitto: la pista passionale).

piccolomo in gabbia

(Giuseppe Piccolomo, durante il processo in corte d’assise a Varese per l’omicidio di Carla Molinari)

La traccia Piccolomo è risultata del tutto infondata, ma almeno ha permesso di tenere aperta una indagine che ha acchiappato una svolta improvvisa quando, nel 2015, la procura generale ha deciso di seguire una traccia che era stata aperta, con discrezione, dalla squadra mobile di Varese. I poliziotti della questura hanno lavorato in silenzio e con spirito di squadra, riuscendo a convincere la teste P.B. a trasformarsi da fonte anonima a vera e propria testimone.

La donna ha consegnato delle cartoline di Stefano Binda da cui è stata estratta la perizia calligrafica che ha portato alla identificazione dell’indagato come autore della lettera “in morte di un’amica”. E’ un’ottima traccia, ma per diversi esperti avvocati del foro varesino non basta la perizia calligrafica, effettuata oltretutto su uno scritto senza firma e vergato in stampatello.

Tutta la ricostruzione sulla lettera come indizio della scena del delitto è tratta dalle consulenze di due periti psicologi e criminologi. Perizie effettuate non sull’indagato, ma su uno scritto di 29 anni fa. Che a sua volta interpreta, ma non offre certezze sulla psicologia dell’indagato. Altri indizi, come le pagine strappate dalle agende e lo scritto “Stefano è un assassino” possono essere indice di personalità narcisista e con qualche problema, ma non sono necessariamente prova del delitto.

Lidia Macchi Story

(La prima pagina de La Prealpina dell’8 gennaio 1987)

Non tutti ritengono che ad esempio le due versioni date all’epoca da Giuseppe Sotgiu, amico di Lidia e di Stefano, sulla sera del 5 gennaio siano necessariamente un tentativo di coprire Binda. Potrebbero essere state solo delle dimenticanze. Inoltre, i testimoni che dopo 29 anni riferiscono che Binda non era presente a una vacanza di Cielle a Pragelato, in realtà per la maggior parte sostengono di non ricordare.

Ciò non toglie che tanti indizi siano concordanti e che il quadro costruito dagli inquirenti sia davvero coerente con tanti dubbi emersi in questi anni. Forse c’è una sola certezza ormai, in questa vicenda. Che l’assassino voleva bene a Lidia. Nel film “La ragazza del lago” di Andrea Molaioli, il commissario, di fronte al cadavere di una giovane donna trovata sulle rive afferma: “Chi l’ha messa in quella posizione accucciata le voleva bene, qui ci sono di mezzo i sentimenti”. Anche il corpo di Lidia fu trovato sotto alcuni cartoni, apposti sul cadavere, come un’ultima pietosa coperta.

In sintesi:
l’arresto, cosa dice l’ordinanza, chi è Stefano Binda.

Roberto Rotondo
roberto.rotondo@varesenews.it
Pubblicato il 21 Gennaio 2016
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