Il gip: “Indagate don Giuseppe per falsa testimonianza”
Che cosa ha detto in tribunale l'amico di Binda, a cui viene attribuito un aiuto al sospettato nel 1987
L’autodifesa di don Giuseppe Sotgiu è questa: nel 1987 l’indagine su Lidia Macchi era tutto un altro film. E siccome i sospettati non erano quelli di oggi, non si possono sovrapporre le cose come fossero carta velina. Ma in realtà, a differenza di quanto trapelato l’altra sera, il sacerdote ha contraddistinto la sua testimonianza con tantissimi “non mi ricordo” .
Il gip ha considerato queste dimenticanze come delle vere proprie reticenze e alla fine dell’udienza ha chiesto alla procura di Varese di indagare Don Giuseppe per falsa testimonianza, compiuta con la propria reticenza.
La madre di Lidia Macchi durante questi passaggi ha chiesto di poter uscire dall’aula perché preso da un pianto di rabbia.
Don Sotgiu ha anche riferito di aver ricevuto un avviso di garanzia, in realtà un mandato di comparizione ma senza che fosse ufficialmente iscritto. Quindi la sua preoccupazione non poteva essere quella di difendere Binda, bensì di difendere se stesso. Gli venne anche fatto l’esame del dna ma senza esito e da allora uscì dall’inchiesta.
Don Giuseppe Sotgiu aveva riferito alla stampa di non aver mai dato alibi a Stefano Binda e di aver corretto nel 1987 la sua testimonianza perchè allora si trovava indagato e doveva difendere se stesso, dunque dovette spiegare meglio, dopo qualche giorno, le prime informazioni che aveva fornito e che erano sbagliate.
Aveva solo 20 anni. Gli inquirenti gli chiedevano cosa aveva fatto quella sera e cercò di ricostruirlo, ma dopo un mese e mezzo dai fatti non si ricordava bene. Disse che probabilmente si trovava con Stefano e un altro amico che frequentava allora e che erano andati a vedere un film a Varese.
Qualche giorno dopo, fatta mente locale e probabilmente dopo aver parlato con gli amici, poté dire di aver passato la sera a casa della famiglia Bertoldi, e la circostanza fu confermata da tutti i presenti. «Basterebbe non sovrapporre due interrogatori fatti 29 anni fa con quelli di adesso – ha dichiarato in una intervista di un mese fa al quotidiano torinese Cronacaqui – altrimenti viene fuori un pasticcio con tutto e di più».
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