La pizza? Te la servono nelle celle dei monaci

Riapre dopo decenni di inattività  “Il vecchio convento”, storico locale del paese che riserva molte sorprese architettoniche

azzio inaugurazione vecchio convento

“Pronto, avete una cella per quattro? Veniamo stasera a mangiare la pizza”.

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Il vecchio convento diventa pizzeria 4 di 20

Alla fine succederà questo al “Vecchio Convento”, c’è da scommetterci, perché il locale che fece la Belle Époque di Azzio, quando ancora c’erano i villeggianti, chiuso da almeno vent’anni, ha riaperto con una presentazione al pubblico avvenuta giovedì sera.

E all’interno è pieno di sorprese a partire dal nome, che non è una promessa, bensì una certezza: ti trovi dentro ad un convento.

La struttura è quella di pertinenza dell’antico convento di Azzio: prima di entrare nel locale, ancora lungo la strada, c’è una specie di piccola intercapedine fra i muri che di fatto ti portano nelle strettissime vicinanze della chiesa, davvero contigua al locale.

Dentro, l’ambiente è completamente a nuovo, con intarsi di affreschi nel soffitto, camini e molte parti rustiche a vista.

«Ci abbiamo impiegato un anno a renderlo così bello, ma alla fine il risultato è sotto gli occhi» dicono da dietro a bancone Alberto e Roberto, uno impresario edile, l’altro ristoratore, che hanno preso le redini di questo posto.

È un locale stravagante, dove si ha l’impressione di perdersi anche se gli spazi non sono enormi. C’è una sala al piano terreno, ma un’altra, quasi speculare, al piano inferiore: siamo sotto terra, in una carbonaia, dove i monaci facevano scorte di legna e carbone; ora i titolari che hanno fatto sabbiare il soffitto ci faranno una piccola enoteca dove si potrà mangiare e bere lontani dai rumori esterni.

Al primo piano, invece, si trovano le vere e proprie celle dei monaci riadattate a salette di ristorante. Il forno, anch’esso al primo piano, è situato alla fine di un corridoio che ricorda il ponte di un transatlantico.

Le celle contengono qualche coperto, e per questione di spazio sono state abbattute delle pareti divisorie che avrebbero reso l’ambiente troppo angusto, da vero monaco, insomma.

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 12 Febbraio 2016
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