Quale Made in Italy ci serve?
La riflessione di Mauro Colombo, direttore generale di Confartigianato Imprese Varese, sull’accordo di libero scambio TTIP
In questi giorni c’è grande preoccupazione, nel dibattito locale, sul riconoscimento di status di mercato della Cina. Riconoscimento che dovrebbe scattare alla fine del 2016 dopo 15 anni di permanenza della Cina nella WTO e che sancirebbe l’abolizione dei dazi che oggi vengono applicati sui prodotti cinesi. Gli effetti di questo riconoscimento sarebbero molteplici: molti settori merceologici europei, non potendo più contare sulle protezioni antidumping, ne sarebbero probabilmente danneggiati. Ma altri comparti no: Germania e Paesi del Nord Europa, soprattutto nella produzione e nei servizi tecnologici, sono stati i primi a credere nella Repubblica Popolare con investimenti importanti.
Di fronte a questa situazione, non conta dirsi preoccupati per primi per il futuro del nostro manifatturiero (Confartigianato ha un’attività particolarmente nutrita sulla difesa del Made in Italy sia in sede nazionale che comunitaria) o confrontarsi su soluzioni che tutti riconosciamo difficilmente realizzabili perché non raccoglierebbero l’appoggio di tutte le lobbies economiche, ma invece è importante valutare la complessità dei trattati commerciali multilaterali. Con tutto quello che potrebbero cambiare nel breve periodo.
La stessa Cina registra una forte preoccupazione per gli accordi di libero scambio come il TTIP e il TPP, ovvero i trattati di partenariato che gli USA stanno portando avanti da una parte con l’Europa e dall’altra con i mercati del Pacifico (in entrambi i casi vedrebbero totalmente esclusi i cinesi). L’accusa mossa dalla Cina è che mediante questi accordi l’America, l’Europa e tutti i paesi industrializzati stanno cercando di creare una nuova generazione di regolamenti sugli investimenti e sul commercio con standard più elevati e norme più severe, al fine di limitare i margini di sviluppo della Cina e di altre economie emergenti.
Come Confartigianato Imprese Varese, pur continuando a sostenere la necessità di un sistema di identificazione e rintracciabilità dei prodotti italiani, riteniamo necessario comprendere meglio gli effetti positivi e negativi di queste decisioni e valutarne anche le opportunità. Dobbiamo sostenere il Made In Italy non solo perché obbligati da un regolamento comunitario o nazionale (comunque non sufficienti) ma per percorrere tutte le soluzioni che possano rafforzare l’identità anche ibrida dell’italianità in diverse culture, prodotti, modalità di consumo.
In questo mi sento personalmente vicino a Piero Bassetti quando afferma che il nostro “Made in Italy” non è solo un’”etichetta” sul prodotto quanto il riconoscimento della qualità, della creatività e del saper fare di una cultura, di uno stile, di un modo di pensare italiano. Non dobbiamo avere paura del “Parmesan” (la versione americana dei nostri Parmigiano e del Grana Padano) se aiuta a diffondere nel mondo il piacere di consumare “italiano” e a spingere, quindi, i consumatori ad acquistare il vero Parmigiano Reggiano e il “Made in Italy”. In questo senso ciò che risulterà dal trattato Ttip in corso potrebbe creare, insieme a quei rischi che devono essere preventivamente ridotti, anche delle opportunità per i nostri mercati e per le nostre piccole imprese.
Il Ttip, l’accordo economico per potenziare gli scambi commerciali fra USA ed Europa, sebbene non sia pensato esplicitamente come tentativo di innalzamento di barriere alla concorrenza cinese, di fatto creerebbe i presupposti per una facilitazione e una integrazione delle economie sulle due sponde atlantiche, eliminando anche le differenze su barriere non tariffarie (standard tecnici, tutele e diritti commerciali, etc.).
Non è vero che tali “semplificazioni” siano tutte a vantaggio delle multinazionali americane. Anzi, si aprirebbero molte opportunità anche per le piccole imprese italiane che spesso, proprio per i vincoli burocratici oltreoceano, non sono mai riuscite a farsi conoscere con il proprio “Made in”. Imprese che da sempre sono abituate, a differenza di altri settori, a vendere su mercati locali e globali senza alcuna protezione doganale puntando sulla qualità dei propri prodotti e sulla propria creatività. Non so se la soluzione sia quella di conquistare commercialmente la nicchia; probabilmente lo è dal punto di vista della singola impresa. Ma l’insieme dei prodotti italiani, il vivere “italiano”, tutta la sua cultura non possono invece diventare un’espressione di nicchia, elitaria, troppo esclusiva e neppure chiusa e sempre “in difesa”. A poco a poco rischierebbe di perdere di importanza e di spegnersi lentamente, dimenticata da tutti, a vantaggio di altri “Made in” diventati nel frattempo i nuovi campioni nel mondo.
TAG ARTICOLO
La community di VareseNews
Loro ne fanno già parte
Ultimi commenti
lenny54 su A Varese Salvini prova a ricucire passato e futuro della Lega, ma Bossi non c'è
PaoloFilterfree su A Varese Salvini prova a ricucire passato e futuro della Lega, ma Bossi non c'è
axelzzz85 su A Varese Salvini prova a ricucire passato e futuro della Lega, ma Bossi non c'è
elenera su A Varese Salvini prova a ricucire passato e futuro della Lega, ma Bossi non c'è
Roberto Colombo su A Varese Salvini prova a ricucire passato e futuro della Lega, ma Bossi non c'è
flyman su Quarant’anni di Lega e quelle scritte nel paese del “Capo“
Accedi o registrati per commentare questo articolo.
L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.