Il boss della mala pugliese gestiva il bar del teatro Sociale
Secondo gli inquirenti era il reggente del clan Modugno a Bitonto. A Busto era riuscito ad acquistare la licenza del bar del teatro principale della città che gestiva con la moglie tra antenne abusive e panzerotti
Cosimo Modugno, il presunto boss a capo di un clan di Bitonto (Ba) arrestato lo scorso 4 marzo a Busto Arsizio, gestiva il bar Teatro Sociale di piazza Plebiscito. La licenza è stata acquistata dai vecchi proprietari nel dicembre del 2015 e da allora, quello che un tempo era un elegante caffè di servizio al foyer del teatro principale della città, si è trasformato in una sorta di rosticceria pugliese.
Prima è spuntata un’antenna sul balcone della galleria, poi i cartelli che promuovono panzerotti pugliesi affissi alla bell’e meglio sulla facciata dell’edificio che – ricordiamo – è vincolato dalla soprintendenza dei beni artistici e culturali. Del vecchio sogno della compianta Delia Caielli, che voleva un caffè letterario a compendio del “suo” teatro in pochi mesi è rimasto ben poco.
La nuova proprietà del teatro, la Fondazione comunitaria del Varesotto, non ha potuto fare molto per impedire l’arrivo di Modugno che ha acquistato la licenza del vecchio gestore all’interno di un contratto di gestione in essere. Il pluripregiudicato, ora in carcere con l’accusa di duplice tentato omicidio, era stato scarcerato nell’aprile del 2015 da un penitenziario pugliese e dal settembre del 2015 era sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno a Busto Arsizio.
Tre mesi dopo era subentrato alla vecchia gestione del bar intestandolo alla moglie che con lui lo ha diretto fino a quando non sono scattate le manette.
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Incredibile, questo era il caffè letterario pensato dalla mia amica Delia e (modestamente) da me, uno spazio raccolto affacciato sulla piazza e raggiunto internamente dall’atrio del teatro, caratterizzato dagli archi originali e dalla colorazione che voleva rimandare agli anni 30 del restauro di Gardella.
Da allora, una sequela di gestori, la distruzione degli interni, la ri-colorazione oscena.
Un insulto alla memoria di Delia Cajelli, senza la quale oggi Busto non avrebbe nessun Teatro Sociale.
Un paese (e una classe politica) che non rispetta i luoghi storici merita di essere invaso da orride rosticcerie pugliesi e centri commerciali.
La fiera del cattivo gusto.