L’Università ha bisogno della “Primavera”

L'Università dell'Insubria ha aperto alla cittadinanza la riunione del suo senato Accademico per far ripartire un sistema penalizzato

La conoscenza libera il futuro del paese” era lo slogan scelto dalla CRUI Conferenza dei Rettori delle Università italiane che oggi, lunedì 21 marzo, ha organizzato una serie di iniziative e incontri per sollecitare l’attenzione dell’opinione pubblica sul lungo inverno in cui la formazione accademica vive da anni. 

L’Università dell’Insubria ha deciso di aprire alla cittadinanza la riunione odierna del suo Senato Accademico, l’organo collegiale dove si dibatte di numeri, programmi e finanziamenti.

Dopo aver osservato un minuto di silenzio in memoria delle giovani vittime in Catalogna tutte partecipanti all’Erasmus, il rettore Alberto Coen Porisini ha presentato un video realizzato dalla stessa CRUI come fotografia del declino di questo sistema di alta formazione.

Un’analisi desolante che parla solo di tagli e sacrifici, che livella tutto ai “costi standard” e impone un tetto agli stipendi ai neo dipendenti, di fatto svilendo profondamente il ruolo di docente universitario: « Si entra nel sistema a 35 anni – ha spiegato il rettore – con quel salario e con la progressione di carriera non c’è sicuramente alcun incentivo alle nostre giovani menti brillanti per spendersi nella formazione».

senato accademico

Eppure l’istruzione migliora il benessere delle persone, come è stato sottolineato dall’Istat : « Ogni euro investito nell’università restituisce due euro al territorio» ha ricordato Coen.

Invece, progressivamente, complice la crisi economica, gli investimenti per l’università sono andati assottigliandosi, tant’è che oggi l’Insubria riceve dallo Stato 40 milioni di euro a fronte di una spesa di 80 milioni per offrire formazioni ai suoi 10.000 studenti. Ogni studente costa circa 8.000 euro mentre in Germania se ne  spendono 13.000.

Il raffronto con il mondo tedesco riemerge spesso nel discorso del rettore anche perhé l’ateneo varesino è gemellato con quello di Stoccarda per offrire agli studenti l’opportunità del doppio titolo. Da quel costante confronto emergono i veri punti deboli di un sistema paese che vede fuggire i propri cervelli: « La fuga non sarebbe un male – ha sottolineato il rettore – se altrettanti ragazzi stranieri arrivassero in Italia per partecipare a progetti di ricerca». Perché così vuole il mondo accademico: un flusso continuo di idee che si confrontano in un contesto mondiale.

Invece l’Italia è fanalino di coda anche nella ricerca: il 45% dei fondi arrivano da privati contro il 65% della Germania, paese in cui, però, lo Stato spende il triplo 304 milioni di euro contro i 109 dell’Italia ( Francia 303) che pur mantiene l’ottavo posto mondiale quanto a qualità di pubblicazioni.

Questa fotografia demoralizzante, però, mal si concilia con i dati sull’occupazione che parlano del 17,7% di inoccupati tra i laureati contro il 30% dei diplomati. E gli stipendi sono nettamente più adeguati a un livello di vita dignitoso.

Ciò che impedisce alle università di ripartire sono due fattori: da una parte la crisi economica, dall’altro un sistema burocratico e legislativo farraginoso che impone vincoli e tetti di spesa paradossali: « Tutto ciò che risparmiamo – ha precisato Alberto Coen Porisini – dobbiamo restituirlo all’Erario, inoltre non possiamo comperare banchi o sedie perché abbiamo un limite di spesa annuo».

Di questo passo, l’Italia non riuscirà mai a raggiungere gli obiettivi di Lisbona entro il 2020  che parlano del 40% di laureati dato che oggi raggiunge solo il 17% ( contro la Germania che è al 28%, la Gran Bretagna al 42% e la Francia al 32%) : « L’Università è in declino. Meno studenti, meno docenti, meno dottori di ricerca. Il calo degli iscritti si attesta sui 130.000 negli ultimi 5 anni, mentre docenti e ricercatori sono scesi di 10.000 unità  e si sono persi 5000 dottori di ricerca.

La crisi del sistema è evidente: in Italia manca il percorso professionalizzante, molto seguito in Germania e Svizzera, per esempio.

Ma anche le scelte strategiche pare abbiano disatteso le aspettative: « Chiediamo che il corso di ingegneria triennale non permetta di accedere alla specialistica: un percorso di ingegnere deve essere di 5 anni, perché il primo biennio serve a sedimentare un modo di essere. Chi fa la triennale deve avere altre competenze, oggi molto confuse» così ha chiesto Roberta Besozzi, presidente dell’Ordine degli Ingegneri della provincia prendendo la parola per criticare il livello di preparazione odierno dei ragazzi, spesso bocciati all’esame per l’esercizio della professione.
Plausi, invece, al sistema accademico sono arrivati da due ex studenti dell’Insubria Mattia Aldighieri che ha ottenuto la doppia laurea in Economia a Varese e a all’università di Germania di Stoccarda e Amabile Stifano, laureato in Scienze della Comunicazione e oggi giornalista che collabora a programmi RAI.

Una difesa accorata che ha registrato solo un neo: in sala pochissimi presenti, qualche docente, una manciata di tecnici e amministrativi quasi assenti i ragazzi.
Per chi parlano i rettori?


Alessandra Toni
alessandra.toni@varesenews.it

Sono una redattrice anziana, protagonista della grande crescita di questa testata. La nostra forza sono i lettori a cui chiediamo un patto di alleanza per continuare a crescere insieme.

Pubblicato il 21 Marzo 2016
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