Varese rivedi la tua toponomastica, a partire da Mussolini
Tanti varesini illustri non sono ricordati nella memoria cittadina, mentre altri hanno avuto onorificenze immeritate: occorre porre rimedio
In questi giorni ricorrono 9 anni dalla morte di Mario Lodi, storico direttore della Prealpina dopo il fondatore Giovanni Bagaini. Se ne andò serenamente, a poche ore di distanza dalla moglie Mariuccia: a settembre avrebbero festeggiato i 60 anni di matrimonio. Ai giornalisti di due generazioni – la mia e quella successiva che oggi ha i capelli spruzzati di grigio – Mario Lodi ha insegnato di accompagnare alla dirittura morale, fondamentale nel nostro lavoro,l’ orgoglio dell’appartenenza alla testata, l’amore per Varese e il culto della famiglia.
E’ stato di gran lunga il migliore dei direttori che ho conosciuto perché ha sempre avuto delicatezza e rispetto eccezionali nel rapporto con i suoi giornalisti e con l’altra simpatica “banda” che agiva nell’azienda, quella dei tipografi. Il giornale appunto come una famiglia. Scriveva raramente, in questo battuto solo dal mitico Formenti che in diversi anni di direzione dell’Arena di Verona secondo suoi vecchi amici avrebbe scritto solo i pezzi di saluto, quando assunse la direzione e quando la lasciò.
Non solo chi fa eccellenti pezzi da inviato o scrive illuminanti articoli di fondo è un asso del giornalismo. Buona parte dei grandi successi editoriali la si deve agli uomini di macchina e Mario Lodi fu un organizzatore eccezionale in una azienda complessa anche se relativamente piccola, inoltre egli fu vera avanguardia con intuizioni e scelte determinanti per un grande balzo nella diffusione della Prealpina. Il tutto in una stagione non facile di mutamenti epocali che si riverberarono anche su Varese.
Al funerale del mio direttore presenziarono personaggi che per anni furono duri oppositori della linea della Prealpina e che mai misero piede in redazione, ma che con luidel Dopoguerra, giovanissimi, per esempio avevano già civilmente gareggiato nella battaglia dei manifesti elettorali sui muri della città. In altri posti magari ci si accoppava, Varese invece aveva da subito scelto la via del confronto. Meglio ricoprire la facciata della Camera di Commercio in piazza Monte Grappa con una gara a chi andava più in alto con i manifesti che avvelenare con la violenza giorni già non facili.
Il breve ricordo di Mario Lodi in occasione di un anniversario che non rientra in quelli tradizionali ha una sua spiegazione: la città che il direttore del quotidiano ha difeso e amato tende a dimenticare i personaggi che le sono stati fedeli e l’hanno fatta progredire. Uomini che sono stati protagonistidi grandi epoche vengono a volte recuperati da storici e scrittori in occasione di qualche ricorrenza o di iniziative assurde da parte di incredibili interpreti delle vicende cittadine, per esempio come quella recente di eliminare la vecchia intestazione di un importante complesso scolastico a Francesco Daverio, che aiutò Garibaldi a Morazzone. La memoria del passato a Varese non ha un unico luogo di incontro, ma è frammentata, sparsa se non dispersa in luoghi diversi e magari lontani dalla nostra quotidianità.
Un fenomeno dovuto forse al fatto che Varese storicamente è stata anche assemblaggio di castellanze e quartieri di forte autonomia. I richiami alla memoria sono frammentati perché nei passaggi delle generazioni, nel transito verso un futuro che da qualche decennio, per vicende certamente non solo locali, non si fa particolare attenzione al passato. Ancora di più nell’era odierna dove tutto viene vissuto di corsa e sembra a volte passato remoto un episodio di pochi giorni prima.
Gli uomini che hanno segnato grandi svolte nella storia cittadina meriterebbero più attenzione, più vicinanza, più conoscenza. Manca un famedio, un luogo dove ricordare i cittadini illustri, mancano le occasioni per sviluppare e incrementare la cultura della memoria, la fierezza di appartenere a una comunità che con i suoi figli, a volte adottivi, ha combattuto e vinto tante battaglie di civiltà e progresso. I famedi vengono realizzati in genere nei cimiteri, che è come seppellire ricordi, slanci, stimoli che devono essere gioiosi e quindi utili alla collettività sotto il profilo morale e culturale. Oggi rivisitazione e catalogazione delle storie di cittadini meritevoli in diversi campi non sono facili se consideriamo ottusità e opportunismi che emergono nella toponomastica bosina e ci affliggono da decenni.
Occorrerebbe ripensare globalmente il problema e trovare una soluzione proprio con un famedio inteso come luogo e riferimento di serenità e di momenti di crescita sociale e culturale. Non occorre splendore architettonico, ma un segno e un luogo di facile accesso per ritrovare e rivivere una grande memoria. Se ai Giardini Estensi si è dato spazio alla statua del peggiore dei Savoia, una soluzione la si può trovare anche per un famedio che non presenti imponenza architettonica ma valori civici. Tra l’altro sarebbe l’occasione per mettere in cantina e riordinare questioni affini, come quella della cittadinanza onoraria a un Mussolini che di Varese non ne volle mai sapere. Piero Chiara di questo gran rifiuto indirettamente offrì una ipotesi divertente, non so quanto credibile, in un suo celebre racconto, “Il povero Turati”, nel quale appunto tale Bestetti incaricato di invitare Mussolini in occasione di una sua visita alla Marchetti di Sesto Calende doveva avvicinarlo e teatralmente invitarlo. Ci furono intoppi, il Bestetti ruzzolò tra gambe del dittatore, fu agguantato dai poliziotti dai quali non riusciva a divincolarsi. Accadde allora che la frase di Bestetti “Duce vieni a Varese!” pronunciata durante il corpo a corpo con la polizia apparisse una minaccia perché il tono rabbioso poteva far intendere un “che ti sistemiamo noi”; fase seguita inoltre da un potente, inequivocabile “Vadaviaelcu” che secondo una diplomatica ricostruzione dell’episodio il Bestetti avrebbe indirizzato a uno degli agenti che tentavano di immobilizzarlo.
Non si può cancellare dall’elenco delle cittadinanze onorarie quella offerta a Mussolini, è un dato storico, ma se già non l’hanno fatta, l’annotazione “revocata” ci sta tutta. Anche a Mussolini andrebbe bene: non ha mai amato Varese, non si è fatto vedere dopo l’iniziativa dei lecchini che lo vollero bosino onorario a tutti i costi. Il Bestetti di Piero Chiara certamente il Duce lo ha adorato sino al momento dell’epico “Vaffa”. Che ancora oggi suscita dubbi: fu una sprezzante ingiuria rivolta all’ignoto forzuto poliziotto o fu il clamoroso segnale di un grande amore tradito?
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