Mario Ossola, il tigre nel motore della città

In carica dal 1964 al 1978 viene ricordato soprattutto per alcune opere completate e per altre realizzate ex novo: il palasport, la piscina di via Copelli, i lavori allo stadio, gli interventi per la viabilità, il parco della Schiranna e la palazzina e i campi da tennis dell’azienda di Soggiorno

Palazzetto

Ci  furono delicatezza e riserbo esemplari quando Lino Oldrini si ammalò e si seppe che avrebbe perso la battaglia per la vita. Non solo la Democrazia Cristiana, ma gli ambienti politici ebbero discrezione massima sulla vicenda che riguardava un uomo che il prevosto Manfredini in San Vittore avrebbe ricordato con un elogio funebre dedicato a un vero e amato figlio della città.

La stessa atmosfera ci fu nel partito per preparare la successione che per varie esigenze anche personali avvenne in due tempi, con la nomina-ponte di Carlo Martinenghi, medico colto e autorevole, tranquïllo militante nel partito, che accettò l’incarico con spirito di servizio; seguì l’incarico a Mario Ossola, tisiologo di fama e eccellente conoscitore e organizzatore della sanità pubblica tanto che avrebbe avuto un incarico importante nella prima riforma nazionale. Ossola aveva inoltre fatto parte di un gruppo di cattolici, laici e appartenenti al clero, che si era distinto nella Resistenza.
(nella foto il Palasport voluto dal sindaco Oldrini e terminato da Mario Ossola, correva l’anno 1964)

La partenza del nuovo sindaco fu di quelle lanciate grazie anche all’attività svolta da Oldrini e all’apporto dei professionisti attivi in città e che già si erano accostati all’impegno civico con  idee e cultura innovative. La gestione Ossola non conobbe soste, fu contraddistinta dal carattere dell’uomo che non voleva bizantinismi ma obiettivi chiari, messi a fuoco nel migliore dei modi e realizzati rapidamente. A volte la Giunta mi ricordava i vogatori del celebre “otto” varesino, campionissimi che sospinti da un timoniere che batteva loro sempre un tempo alto, trasformava qualsiasi gara in una finale europea demolendo così gli avversari.

Palazzo Estense non aveva avversari da battere, ma solo opportunità da cogliere per portare in alto la città. E le colse perché aveva un tigre nel motore, un sindaco che badava ai fatti, decisionista ma come tale anche accettato perché, essendo pure un buon giocatore di scacchi, le mosse le inquadrava bene e le azzeccava. Con lui hanno lavorato ottime giunte, ma Ossola ha avuto la fortuna di una opposizione che suppliva alla debolezza dei suoi numeri con una intelligenza notevole. E quando chi amministra bene ha pure forti oppositori a guadagnarci è sempre la comunità. Ambrogio Vaghi, leader allora del pci varesino e oggi infaticabile saggio in marcia verso quota 90, fu oppositore di diverso stile ma di pari capacità di Ossola, il loro fu un duello senza strepiti o echi di alcun genere, avendo essi sempre Varese nel cuore. Non furono amici, ma cultori del rispetto: lo avrebbero entrambi avuto per Luigi Bombaglio, che non avendo partecipato alla guerra civile perché prigioniero in India,  fu come missino una interessante presenza in Consiglio comunale. La sua umanità, la sua cultura, il suo amore per Varese tradotto  anche in scritti e poesie, la sua professionalità come avvocato contribuirono alla qualità dei dibattiti e delle decisioni del Consiglio comunale.

Mario Ossola viene oggi ricordato soprattutto per alcune opere completate e per altre realizzate ex novo, le più importanti: il palasport e la piscina di via Copelli, alle quali vanno aggiunti i lavori allo stadio, gli interventi per la viabilità e l’accoglimento in toto delle iniziative del notaio Zanzi per il parco della Schiranna e la palazzina e i campi da tennis dell’azienda di Soggiorno in una zona che avrebbe visto nascere il palaghiaccio.

Non tutti possono ricordare invece un “piano scuola”  di grande portata sociale: con forti investimenti vennero eliminati i doppi turni nelle scuole elementari le cui capacità ricettive non rispondevano più alle esigenze dello sviluppo della città. Scuole nuove, palestre, aree per le attività sportive in diverse zone della città: un servizio eccellente per l’educazione dei giovani e la tutela della loro salute.

La cultura e l’ecologia lo videro molto attento: la grande orchestra della Rai fece registrare più volte il tutto esaurito al palasport, l’Autunno musicale  fu valorizzato; grande il rapporto con Salvatore Furia agevolato per la vasta area dell’Osservatorio e la sua battaglia per la salvezza del lago che vide il Comune partecipe per il  depuratore. Ossola sostenne il progetto per l’Università, lavorò per accompagnare al meglio la città in uno sviluppo  che aveva trovato radici nel lavoro e nella collaborazione piena della comunità bene rappresentata anche da coloro che del boom economico erano stati alfieri.

Seppe infine cogliere, meglio di tutti, l’importanza sociale  dello sport che nei 14 anni del suo mandato davvero raggiunse grandi mete e contribuì a dare una notorietà come un made in Varese. Si può forse non condividere del tutto il parere di coloro che criticavano gli investimenti negli impianti sportivi: infatti le affermazioni di cestisti, calciatori e ciclisti moltiplicarono anche il numero dei giovani che si diedero alla pratica sportiva; i successi ebbero a riflessi anche sulle attività industriali e commerciali e il turismo già in fase di rilancio grazie a Manlio Raffo.

Non è stato un regno quello di Ossola, il sindaco non impose scelte, è stato sempre autorevole e mai autoritario. Una attenzione particolare per la comunità la dimostrò nel 1966 quando venne celebrato il 150° della elevazione di Varese al rango di città: furono sei mesi di appuntamenti, di celebrazioni, che ebbero il top nella visita al Papa a Roma.

Oggi celebriamo i 200 anni, ci sono gusto e buona volontà nei programmi, ma rispetto alla Varese d’avanguardia del 1966 a volte questi giorni di festa mi ricordano i Natali di guerra. Sono giorni figli della crisi che infierisce da anni sul Paese e che fanno sembrare i leader nazionali a volte se non spesso degli imbonitori, come tali non molto ascoltabili.

È bene ribadire che la nostra non è cronaca e tanto meno storia delle passate vicende civiche, sono solo appunti, a volte impressioni soggettive di chi ha vissuto quei tempi che peraltro è bene ricordare con qualche riserva perché anche negli anni migliori nel suo insieme la comunità non si è liberata da pigrizie culturali e politiche accettando di non modificare atteggiamenti e abitudini anche in presenza di stimoli che venivano da personaggi come Ossola e dai giovani che si era affacciati alle professioni e alla politica.

Lo confermano opere e iniziative che oggi i cronisti chiamano le grandi incompiute, che non sono un’esclusiva delle ultime  amministrazioni, ma erano già nel cassetto e ci sono rimaste anche nell’età dell’oro della nostra città: teatro, disordine urbanistico con il top del mancato trasferimento dal centro degli ospedali, la qualità della viabilità, Sacro Monte, la funicolare, l’ex grand hotel diventato un ripetitore tv, il lago che si è ribellato ancora, il mancato raccordo con il  territorio, un turismo non al meglio delle potenzialità, la gestione della vivibilità che è andata calando.

Scaricare tutte le responsabilità sulle  ultime gestioni della città non sarebbe corretto, almeno l’ultimo decennio è stato da un’età povera, con lo Stato a opprimere o lasciare soli i Comuni. Di questa età ricorderò un segnale penoso: Varese pavesata, tirata a lucido per i mondiali di ciclismo, ma con via Sanvito asfaltata solo per il tratto percorso dai corridori.

In mezzo alla tanta mediocrità odierna una chicca: l’acquisizione, grazie a una donazione, di Villa Mylius e del suo vasto parco. Un punto di partenza, un semaforo verde: Attilio Fontana come ai tempi del sindaco Cova.
Chissà che anche questo parco non sia il primo gradino di una nuova scalata al piccolo paradiso che abbiamo perduto.

Leggi lo speciale i sindaci di Varese

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Pubblicato il 18 Maggio 2016
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