Brexit, un dibattito che va contro l’evidenza

Alla Liuc due professori, un economista e un giurista, hanno discusso con i giornalisti degli effetti del referendum inglese sull'uscita dall'Unione Europea

«Brexit or not brexit, that is a question». Giovedì prossimo sapremo come gli inglesi risolveranno questo dubbio amletico nel segreto dell’urna e soprattutto quanto avranno influito i fiumi di parole spesi prima del referendum sulle conseguenze di una uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Lo speciale di sei pagine dal titolo “Capire Brexit” pubblicato da “Il Sole 24ore” apre con una dichiarazione del premier David Cameron che bolla la Brexit come «Una via senza ritorno, capace solo di dividere invece di riunire, una via verso la recessione e l’impoverimento generale… Vi dico: non rischiate». Nel frattempo c’è stato anche l’omicidio della deputata laburista Jo Cox che secondo i sondaggisti – è striste dirlo ma è la realtà – avrebbe frenato la corsa dei brexiters, ovvero i favorevoli all’uscita, tra cui ci sono Michael Gove, ex grande amico di Cameron e ministro della Giustizia, e l’ex sindaco di Londra, Boris Johnson. (foto, da destra: i professori Gaetano Vitellino e Rodolfo Helg)

Un esito finale di difficile lettura e alla cui comprensione ha voluto dare un contributo anche l’Università Liuc di Castellanza proponendo ai giornalisti un incontro con due docenti: Rodolfo Helg, ordinario di economia politica e direttore della scuola di economia e management, e Gaetano Vitellino, docente di diritto internazionale dell’Unione Europea. «Abbiamo voluto contribuire alla comprensione di questo fenomeno – ha detto all’inizio dell’incontro il rettore Federico Visconti – attraverso il confronto con due nostri professori di ruolo che si misurano quotidianamente con la materia, nonostante si parli di fenomeni complessi caratterizzati da tali e tante variabili che spesso gli stessi economisti faticano a dominare».

In questo caso ciò che si teme non è un voto riconducibile all‘identità britannica, motivazione più che legittima e nobile, quanto un voto di “pancia”, cioè basato su motivazioni irrazionali e dettato da sentimenti di paura e di chiusura. Non a caso l’autorevole “Financial Times” ha sottolineato che il dibattito in corso ha la caratteristica di andare contro ciò che evidente. «Tutta l’evidenza empirica – ha spiegato Helg – dimostra che quello che dice Cameron è vero: in caso di uscita della Ue la Gran Bretagna subirà serie conseguenze e ne uscirà notevolmente impoverita. C’è solo uno studio che dice il contrario e quantifica la perdita di reddito in un minimo del 2%, rispetto all’attuale, fino a un massimo del 10% nel peggiore dei casi».

I sostenitori della Brexit fanno leva anche su argomentazioni di tipo economico, per esempio la Gran Bretagna in tema di contributi alla Ue ha un saldo negativo di 8,5 miliardi di euro, cioè paga più di quanto riceve. Una visione limitante perché il vero e grande contributo della Gran Bretagna all’Unione Europea è di tipo politico. «La posizione inglese nella Ue è autenticamente liberale – ha sottolineato l’economista – ecco perché la Francia statalista non soffrirebbe particolarmente per questa uscita. Sarebbe invece una perdita secca perché avremmo un’Europa più rigida, più chiusa su se stessa e verrebbe meno la sua spinta reale e continua alla competitività che giova a tutti i paesi membri, Italia compresa».

Un altro elemento su cui si fa confusione quando si parla di Brexit è il rapporto che c’è tra uscita dalla Ue e uscita dall’euro. «I trattati – ha spiegato Vitellino – prevedono e disciplinano il diritto di recesso dall’Unione Europea, mentre l’uscita dall’euro non è contemplata. Quindi se dovesse vincere il leave (la fazione favorevole all’uscita, ndr) non è che si cancella tutto, ma si mantiene una qualche forma di cooperazione che è necessaria».

Sono i dati a sostenere questa necessità per gli inglesi. Dal 1973, data in cui il Regno Unito è diventato membro della Comunità europea, a oggi, l’export inglese verso l’Unione è cresciuto del 55% . Quindi l’Europa è per la Gran Bretagna uno dei mercati di riferimento, soprattutto per i settori assicurativo e bancario che non possono essere messi fuori da questo regime da un momento all’altro. «In caso di uscita – ha concluso il docente – agli inglesi non rimangono che due strade: o entrare nello spazio economico europeo, oppure aderire all’Efta, l’ European Free Trade Association, un regime speciale, come per la Svizzera. Si tratta dell’Associazione europea di libero scambio che nasce in contemporanea con il Mercato comune europeo e viene promossa proprio dal Regno Unito che non voleva partecipare all’idea comunitaria lanciata da Francia e Germania sia per ragioni economiche, per aver le mani libere nei rapporti commerciali con il Commonwealth, sia per ragioni politiche, perché con il Mercato comune si affermava un’Unione sempre più stretta. Quella stessa Unione da cui oggi si vuole uscire».

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Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 20 Giugno 2016
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