Un giorno “normale” a Malpensa, dove l’allerta è al massimo
Il giorno dopo l'attentato a Istanbul ecco com'è la situazione nello scalo. La polizia: "Ormai siamo in allerta permanente"
Il giorno dopo l’attentato all’aeroporto Ataturk di Istanbul, a Malpensa alle misure di sicurezza rafforzate e portate al massimo già dopo Bruxelles, si aggiunge anche un filo di inquetudine. È il secondo attacco in pochi mesi in uno scalo aeroportuale, luogo affollato per eccellenza, e la cosa non sfugge: a commentare di più le notizie dalla Turchia sono gli aeroportuali, i lavoratori che vivono Malpensa ogni giorno. Meno concentrati sui fatti invece sono i viaggiatori, magari stranieri di ritorno a casa, ancora immersi nel clima di vacanza, per quanto iper-connessi alle notizie.
Come ai tempi dell’attacco a Brussels zaventem, anche in questo caso l’attentato ha causato di sicuro modifiche ai voli: due i voli da Ataturk cancellati, perché lo scalo stambuliota ha funzionato per alcune ore a regime ridotto (nel frattempo a metà giornata di mercoledì si è ritornati a piena operatività).
Chi cerca una militarizzazione evidente, lo stato d’allerta visibile, non lo trova. Certo: la polizia c’è, è una presenza costante in aeroporto. Molti agenti si muovono a bordo delle macchine elettriche, altri sono in borghese qua e là. Forse quelli che attraggono di più l’attenzione, al T1, sono quelli in giubbotto antiproiettile e mitra: «Non possiamo dire niente, mi spiace». Per chi lavora in aeroporto anche questa presenza più visibile è comunque una costante: «Li vediamo da un po’ di tempo, però oggi non è cambiato niente in particolare» spiegano i commessi di alcuni negozi vicini. «Ormai siamo in allerta permanente» conferma la dirigente della Polaria Giuseppina Petecca. Per questo non ci sono ritardi nelle operazioni di controllo ai varchi, nè altre situazioni particolari.
«Prendo l’aereo una volta ogni due settimane, dovrei stare in agitazione in allerta» dice Rico, viaggiatore spagnolo, in coda al check-in. Ha meno di trent’anni e sembra il ritratto della “generazione Bataclan” evocata più o meno insistentemente dai fatti di Parigi dello scorso anno. «In Italia ci son venuto ai tempi dell’Università, ma non per Erasmus. Adesso lavoro vicino a Londra e viaggio sempre in aereo, qui sono stato in vacanza. Non possiamo cambiare il nostro modo di vivere: ho letto le notizie di Istanbul, ma non cambia molto per me. Se vogliono colpire ci sono tanti posti, a Istanbul è successo anche nelle strade».
«La paura ce l’abbiamo sempre» dice invece un signore tunisino, in partenza con la famiglia per Tunisi, al Terminal 1. Fa l’elettricista industriale in Italia e ritorna nel suo Paese per le ferie: «Noi non sapevamo cosa era il terrorismo e invece poi è successo anche da noi. Ho visto l’attentato in Turchia, mi spiace molto: ci fanno sentire spaventati ma non dobbiamo, altrimenti vincono loro». «Ho visto solo stamattina in aeroporto, devo essere sincero» dice invece un signore italiano. «Un po’ mi preoccupa, perché vedo tanta polizia ed è inevitabile che te ne accorgi dopo aver sentito le notizie».
Tra i lavoratori che si spostano nei saloni e negli ascensori, la notizia di Istanbul è sulla bocca di molti. Chi vola sa che Istanbul non è oriente lontano, ma un pezzo di Europa, con i suoi aeroporti in piena crescita, un flusso turistico gigantesco. «Non è mai proprio normale, il giorno dopo» si lascia sfuggire un poliziotto, quando si chiede che aria tira. Il dispositivo di sicurezza di Malpensa è stato ulteriormente potenziato negli ultimi mesi, in particolare ai varchi, sono ad esempio aumentati anche i momenti in cui sono presenti (al Terminal 2) le pattuglie dell’Esercito, un tempo più impegnate solo sul perimetro dello scalo. La gestione della sicurezza è competenza del Ministero dell’Interno, che prevede disposizioni anche al di là del gestore aeroportuale Sea: da qualche mese – per fare un esempio – al T2 in alcuni orari serali e notturni vengono ridotti i varchi, per rendere più agevole il controllo dei movimenti.
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