Via Francigena: Gran San Bernardo – Echevennoz

Prima tappa del viaggio di Marco Giovannelli: milleduecento metri di dislivello in discesa, tra i piccoli paesi valdostani

Via Francigena: dal Gran San Bernardo a Echevennoz

“Gli zingari Spagnini qui sperduti nella vita nomade, randagia per la dura ragione dell’esistenza, li colse e li vinse un turbine candissimo di neve omicida. Viatore pensa a loro e per loro prega!”

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La lapide posta sul sentiero 103, dopo un’ora di cammino dal Passo del Gran San Bernardo, non passa inosservata. Bianca, candida si staglia nel maestoso paesaggio che ci circonda.

Insieme con il ricordo per la famiglia distrutta sotto una valanga o una slavina, la mente va a tutte le persone che sono salite fin lassù prima del 1905, data in cui fu costruita la strada anche sul versante italiano. La vita era dura e piena di insidie. Il passo ha un so che di magico con l’ospizio che lo sovrasta ormai da oltre un millennio.
Stamattina non ho aspettato la colazione. Ho passato una notte irrequieta. Tra l’andare in branda a un’ora per me insolita e troppo presta, tra l’affollamento di un dormitorio rumoroso, a cui io devo aver contribuito con generosità, tra una temperatura che non sapevi mai se calda o fredda, e per finire anche l’emozione della vigilia.

Insomma alle cinque ero sveglio e provare a star lì a contar le pecore, o le marmotte visto il contesto, non è servito. Così alle 6 ero in piedi e alle 6.30 pronto per partire. Con me anche Olindo, un ragazzone trentacinquenne di Avellino che da dieci anni gira l’Italia insegnando alle scuole primarie. Insomma fa il maestro come si diceva una volta. Lui due anni fa ha percorso il cammino di Santiago e stavolta vuole cimentarsi sui 1000 e oltre km della Via Francigena. È arrivato direttamente da Parma dove era andato a firmare per il posto a tempo indeterminato. «La scuola è la mia passione e tutta la mia famiglia ha svolto questa professione. Non capisco però perché non posso scegliere io dove andare a lavorare. Vedremo dove mi mandano, ma intanto adesso sono felice di esser qui e di fare questo cammino».

Abbiamo percorso insieme tutta la tappa dal confine fino a Echevennoz, poi lui ha proseguito per Aosta. Cinque ore a chiacchierare di tante cose con lui curioso delle mie scelte. Un piacere questi incontri sereni e spontanei. Come quello con la pattuglia di ciclisti australiani con cui avevo cenato all’ospizio. Mi vedono da lontano e iniziano a gridare con quell’accento inconfondibile «Marco, Marco…come stai? Come va?», rallentano sorridendo felici. Loro sono partiti da Canterbury e arriveranno a Roma in bici. La loro meta oggi è Chatillon, io ci arriverò tra due giorni.
Dopo una veloce discesa del primo tratto in cui ci accompagna la statale 27 con i suoi tornanti e noi lì in mezzo a guadar torrenti e far attenzione a non scivolare, finalmente entriamo nel bosco. Ci sorprende un po’ di pioggia, in agguato per tutto il giorno.

Entriamo nei piccoli borghi di Saint-Remy en Bosses, Saint Oyen e per finire Etroubles dove ci fermiamo a mangiare qualcosa.

La signora del bar ci racconta che si vedono passare tanti pellegrini. «Sono principalmente stranieri, ma sta crescendo il numero anche degli italiani». Il segno dell’attenzione si vede da piccole cose come la curiosità degli abitanti e anche la presenza del simbolo del pellegrino. A Etroubles, nella piazza principale c’è un gigantesco affresco che riprende scene del pellegrinaggio e al centro la scritta Via Francigena.

La tappa di oggi è stata breve e su un tracciato quasi interamente fuori dall’asfalto. Una forte pendenza, oltre milleduecento metri, mi ha consigliato di rispettare l’indicazione del tracciato ufficiale dell’associazione. In molti proseguono fino ad Aosta accorciando così di un giorno il lindo cammino. Ho preferito non farlo e i miei muscoli e piedi sembrano rallegrarsi per la scelta perché in ogni caso la discesa impegna molto.

Sono molto curioso di scoprire questo tratto alpino del cammino. È una cultura molto diversa rispetto alla seconda metà. Sono diverse anche le realtà che si incontrano. Resta questo fantastico comun denominatore che è l’incontro è che da subito mi ha fatto riprovare una bella gioia malgrado la fatica fisica che si deve mettere in conto.

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Pubblicato il 02 Luglio 2016
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