Il parlamento federale boccerà la decisione ticinese

Il commento del giurista Mario Speroni sulla consultazione referendaria antifrontalieri denominata "Prima i nostri"

La votazione referendaria antifrontalieri, avvenuta in Ticino, domenica 25 settembre, denominata “Prima i nostri”, ha suscitato – com’era ovvio – una vasta eco. In effetti, il problema riguarda ben 62.265 lavoratori italiani, su un totale di 62.409 frontalieri, secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Ufficio federale di statistica UST, relativi al secondo trimestre di quest’anno.

Essi sono, quindi, in leggera diminuzione (-0,4%), rispetto alla tendenza  riguardante l’intera Confederazione svizzera (+0,6%).  Secondo i dati ufficiali, pubblicati nel maggio di quest’anno dalla Divisione dell’economia del Dipartimento delle finanze e dell’economia del Ticino, la disoccupazione è diminuita del 4,6%, rispetto a quella riscontrata nel maggio del 2015. Il tasso di disoccupazione ammonta, quindi, al 3,4%. Si può dunque dire che i numeri dell’economia ticinese sono positivi. Vi è una bassa disoccupazione, inferiore addirittura alla media nazionale e si continuano a creare nuovi posti di lavoro.

Anche l’evoluzione dei salari è stata leggermente positiva – cosa confermata non solo dalla statistica, ma anche dall’aumento delle imposte pagate dalle persone fisiche. Tuttavia la percezione che si coglie tra molti Ticinesi è quella di una realtà pesantemente negativa, senza garanzie per il presente e con scarse prospettive per il futuro. L’aumento dell’occupazione proverrebbe soltanto da aziende giunte dall’Italia, che assumono unicamente frontalieri italiani, escludendo i Ticinesi. Di qui un forte sentimento di avversione verso gli Accordi bilaterali con l’Unione Europea, con la richiesta di protezione del mercato del lavoro e di una decisa lotta contro il “dumping” salariale (che per molti starebbe dilagando).

Inoltre andrebbero tutelate le piccole aziende, soffocate dalla concorrenza dei padroncini italiani. È lo stesso sentimento che aveva portato due anni fa a votare a favore dell’iniziativa “Contro l’immigrazione di massa”, che aveva avuto in Ticino una netta affermazione, malgrado la risicata maggioranza sul piano nazionale. Con tale iniziativa il popolo ha incaricato il Consiglio federale di introdurre, entro un periodo di tre anni, un nuovo regime di regolazione dell’immigrazione, rinegoziando l’accordo sulla libera circolazione delle persone, stipulato con l’Unione Europea.

È però del 28 settembre la votazione del Consiglio nazionale (quello che in Italia si chiamerebbe la camera dei deputati) con cui è stata bocciata, con 122 voti contro 63, una mozione del gruppo dell’UDC – in cui è rappresentata anche la Lega dei Ticinesi – che sollecitava di rinegoziare ed adattare l’accordo con l’U.E. sulla libera circolazione delle persone. La consigliera federale Simonetta Sommaruga – per il governo – ha obiettato che l’Unione Europea non ha mai voluto esaminare la questione, trattandosi di uno dei principi cardini, quindi intangibili, dell’Europa. Ha poi concluso affermando che l’art.121a della costituzione obbliga il governo solo ad impegnarsi a rinegoziare i trattati internazionali in contrasto con tale articolo, ma non gli impone di denunciarli.

L’interpretazione è forse “stricto iure” discutibile, ma denota la volontà del Consiglio federale di non rompere con l’U.E., da cui la Svizzera è completamente circondata, e che costituisce, di gran lunga, il suo primo partner commerciale. Una rottura con l’U.E. sarebbe un suicidio economico. A seguito della votazione di domenica 25 settembre sarà anche la costituzione cantonale a dover essere modificata, rifacendosi ai principi dell’iniziativa del 2014. L’obiettivo del testo è di trovare una soluzione urgente per il Ticino, in base ai principi della “preferenza indigena” e della “complementarietà professionale”, in attesa delle nuove misure previste a livello federale. Tale richiesta è stata approvata dal 58,2% dei votanti ma solo il 45% dell’elettorato si è espresso. Si tratta di un’iniziativa fortemente voluta dall’UDC (Unione Democratica di Centro), un partito di estrema destra, appoggiata dalla Lega dei Ticinesi. Contemporaneamente è stato approvato, con il 54,96% dei voti, il progetto governativo per l’elaborazione di una legge concernente il rafforzamento della sorveglianza del mercato del lavoro, al fine di evitare il “dumping” salariale.

Le conseguenze dell’approvazione della prima iniziativa hanno suscitato forti reazioni di allarme qui da noi, specie tra i frontalieri, e con l’intervento del ministro degli esteri Gentiloni e del presidente della regione Maroni. Il secondo stupisce un po’, solo se consideriamo i forti legami che da sempre esistono tra la Lega Nord e la Lega dei Ticinesi, di cui una rappresentanza era presente alla manifestazione di Pontida. In effetti, la Lega dei Ticinesi è stata sempre caratterizzata da un forte sentimento anti-italiano che, quindi – vista la vicinanza – si trasforma in anti-lombardo ed anti-piemontese.

Vediamo ora quali sono le modificazioni apportate dall’approvazione dell’iniziativa referendaria alla costituzione ticinese:

a)-all’art.4 – avente come titolo “Scopo” – si stabilisce che il Cantone, oltre che garantire la libertà ed i diritti individuali e sociali di chi vive sul suo territorio e promuovere la cultura, la solidarietà, il benessere economico e salvaguardare l’identità ed i valori ambientali, deve ora anche vigilare che i trattati internazionali conclusi dalla Confederazione non vengano a ledere “i diritti individuali e sociali” di chi vive nel Canton Ticino;

b)-all’art.14 – avente come titolo “Obiettivi sociali” – si stabilisce al comma 1: lett.b), che “sul mercato del lavoro venga privilegiato a pari qualifiche professionali chi vive sul suo territorio per rapporto a chi proviene dall’estero (attuazione del principio di preferenza agli svizzeri)”; lett.c): che “nessuno stato estero ostacoli l’accesso di persone fisiche o giuridiche svizzere al suo mercato interno in modo contrario allo spirito dei trattati internazionali conclusi con la Confederazione”; lett.j): che “nessun cittadino del suo territorio venga licenziato a seguito di una decisione discriminatoria di sostituzione della manodopera indigena con quella straniera (effetto sostituzione) oppure debba accettare sensibili riduzioni di salario a causa dell’afflusso indiscriminato  della manodopera estera (dumping salariale) -lett.k: che “sia promossa una sana complementarietà professionale tra lavoratori svizzeri e stranieri”;

c)-all’art.49 – avente come titolo “Cooperazione transfrontaliera e principio dello standard minimo” – si aggiunge, al principio che “il Cantone agevola e promuove la cooperazione transfrontaliera”, l’affermazione che “qualora lo stato estero limiti con regolamenti interni o sistemi di attuazione disincentivanti l’esecuzione al suo interno dei trattati internazionali conclusi con la Confederazione, il Cantone applicherà i medesimi standard minimi nel rispetto del criterio di reciprocità dell’attuazione”;

d)-all’art.50 – avente come titolo “Mandato alle autorità e lotta contro il dumping salariale” –  si aggiunge al compito delle autorità cantonali di “promuovere e tutelare l’identità, l’autonomia, gli obiettivi sociali e l’interesse economico del Cantone” quello, nelle relazioni con i paesi limitrofi (quindi l’Italia), di modulare “il mercato del lavoro in base alle necessità di chi vive sul territorio del Cantone … evitando la sostituzione della manodopera indigena con quella straniera (effetto sostituzione) e la corsa al ribasso dei salari (dumping salariale)”.

Si tratta dunque di norme costituzionali di principio che dovranno essere attuate con una o più leggi di applicazione. Nell’intenzione dei proponenti si tratta di dare applicazione all’art.121a della costituzione federale, apportata dal popolo – con una risicata maggioranza, il 50,3% dei votanti – il 9 febbraio 2014. Tale articolo stabilisce, al comma 1, che “la Svizzera gestisce autonomamente l’immigrazione degli stranieri”. “I tetti massimi annuali e i contingenti annuali per gli stranieri che esercitano un’attività lucrativa devono essere stabiliti in funzione degli interessi globali dell’economia svizzera e nel rispetto del principio di preferenza agli svizzeri; essi devono comprendere anche i frontalieri”. Una disposizione transitoria prevede che “i trattati internazionali che contraddicono l’art.121 a devono essere rinegoziati ed adeguati entro tre anni”. In caso contrario “il Consiglio federale emana provvisoriamente le disposizioni di esecuzione dell’art.121 a”. La questione riguarda soprattutto l’accordo sulla libera circolazione delle persone con l’U.E., che ha già respinto la richiesta della Svizzera di rinegoziarlo. Sono tuttavia in corso delle “consultazioni”, volte a dare un’interpretazione condivisa dell’Accordo vigente. Questo in effetti prevede, al comma 14.2, che, in caso di gravi difficoltà di ordine economico e sociale, una delle parti contraenti può chiedere delle deroghe, per porre rimedio alla situazione. Rimane il fatto che nell’attuale situazione economica continentale, è estremamente difficile che la Svizzera possa sostenere di versare in uno stato di “grave difficoltà”.

In ogni caso questa modificazione della Costituzione ticinese va sottoposta al vaglio del Consiglio federale e del parlamento, i quali decidono se è  compatibile con il diritto federale e se concederle la c.d. “garanzia federale”, prevista dall’art. 51, c.2 della Costituzione svizzera, il quale recita: «Le costituzioni cantonali devono ottenere la garanzia federale. La Confederazione conferisce tale garanzia se la costituzione cantonale non contraddice al diritto federale».

In conclusione, prima che si proceda all’attuazione delle norme introdotte dal referendum della costituzione ticinese dovrà passare del tempo. Fuori luogo appare quindi la richiesta del presidente dell’Udc ticinese, Piero Marchesi, di emanare già fra sei mesi una legislazione attuativa, partendo dall’impiego presso l’amministrazione cantonale e gli altri enti pubblici o parapubblici. Si pensi a quello che sta accadendo – a livello federale – con l’applicazione dell’iniziativa contro l’immigrazione di massa, del 9 febbraio 2014, di cui si è detto sopra. Finora nulla è successo.

Per quel che riguarda l’iniziativa ticinese è da segnalare l’affermazione del consigliere nazionale socialista Cédric Wermuth, apparsa sul quotidiano Blick del 27 settembre: «Il parlamento federale non potrà far altro che bocciare questa decisione. Per prima cosa la Costituzione prevede che la politica estera sia appannaggio della Confederazione. In secondo luogo le disposizioni approvate dal Ticino vanno contro la libera circolazione delle persone».

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Pubblicato il 29 Settembre 2016
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