Lucchi: “La Prealpina tornerà a crescere”

Intervista con Maurizio Lucchi, neo direttore dello storico quotidiano. È il ventitreesimo e arriva dall'ANSA al posto di Paolo Provenzi. "Ho un forte legame sentimentale con Varese"

Personaggi generiche

“Noi ci mettiamo la faccia e la firma, e la nostra professionalità è la maggiore garanzia per il cittadino e il lettore”.

Maurizio Lucchi, dopo trent’anni passati all’ANSA a Milano, da giovedì 15 settembre torna alla Prealpina in qualità di direttore. È il ventitreesimo al vertice di via Tamagno, e succede al bergamasco Paolo Provenzi.

Ha già avuto il via libera dalla redazione del suo giornale dove si è presentato al fianco dell’editore Daniela Bramati.

Lucchi conosce bene Varese perché è proprio nella nostra città che nel 1981 ha mosso i primi passi da giornalista. Alcune stagioni alla Prealpina con due diversi direttori, Mario Lodi e Pierfausto Vedani, poi al Giorno con Ezio Motterle e da lì il grande balzo verso Milano dove all’ANSA si è svolta la sua carriera giornalistica fino ad arrivare a ricoprire la carica di caporedattore.

Sulla rete di lui si trova poco, ma spiccano qualità importanti per un giornalista. Come nell’attacco di un articolo di Giovanni Cerruti su La Stampa quando dice “Nel magico mondo di Padania accade anche questo. Che Umberto Bossi, come ieri mattina, esca dalla villetta di Gemonio per il suo paio d’ore di libertà dalla famiglia, e si metta al telefono con il solito e autorevole Maurizio Lucchi dell’Agenzia Ansa, se scrive lui nessun dubbio, tutto verissimo”.

Il direttore esprime calma e serenità, ha una voce giovanile e non gli daresti 59 anni. Subito disponibile, malgrado la giornata di giovedì sia per lui storica e piena di impegni. Dopo esserci sentiti nei giorni scorsi, la nostra conversazione ora spazia su diversi temi.

Cosa ti ha spinto a tornare a Varese?

«Ho un forte legame sentimentale con la città. Ci ho vissuto a lungo e mia figlia è nata qui. Quando nel 1986 mi spostai a Milano, per un anno feci il pendolare, ma poi con i turni che facevo non era più possibile e così mi trasferii lì. Ora ho preso una casa a Giubiano vicino alla sede del giornale. Professionalmente mi affascina l’idea di tornare a lavorare con la carta stampata. Sono convinto il giornale possa ancora fare molto con la carta non solo per mantenere i lettori più tradizionali, ma anche per conquistarne di nuovi».

Cosa te lo fa credere?

«Il ruolo del giornalista. È questo il punto di forza del prodotto editoriale. Noi ci mettiamo la faccia, la firma e il lettore apprezza la nostra professionalità. Siamo una garanzia e il cartaceo ci permette di fare un giornale più meditato, approfondito. Abbiamo un tempo maggiore per trattare la notizia».

Che giornale vorresti fare?

«In questo periodo per prima cosa voglio conoscere meglio la redazione e il territorio. Poi spero di riuscire a fare un giornale che non si perda dietro le minutaglie della cronaca. Vorrei approfondimenti e inchieste e dare una lettura di ciò che succede».

In questi anni il mondo è cambiato profondamente. Ha ancora senso fare differenze tra la carta e il digitale?
«Si perché sono due prodotti diversi e quindi ognuno ha le proprie peculiarità. Non sono un grande appassionato dei new media e credo che anche alla Prealpina chi vorrà fare solo la carta potrà continuare a farlo. Chi invece vorrà dare un contributo anche al web potrà farlo senza alcun problema».

Che rapporto hai con i social network?

«Non li uso. Preferisco comunicare in altri modi incontrando le persone o scrivendo sul giornale. So come funzionano e non ho niente in contrario al loro utilizzo, ma ho scelto di starne fuori».

Il direttore del giornale è anche un po’ il suo rappresentante. Come ti muoverai?

«Non sono un presenzialista. Sono una persona riservata di natura. Il che non vuol dire che sia un orso. Sarò presente con tutti e il giornale è aperto alle proposte e iniziative, e sarà un piacere partecipare quando necessario».

Su Internet si trovano poche informazioni di te. Facendo qualche ricerca appare però subito una tua familiarità con Umberto Bossi. Come nasce questo rapporto?

«Si enfatizza troppo questo. In passato ho avuto anche discussioni importanti con militanti leghisti, ma la relazione con Bossi nacque un po’ per caso, un po’ per una intuizione di un mio grande collega. Carlo Brazzi all’ANSA fu tra i primi a intuire che la Lega andasse scoperta. Così mi spedì a seguire Bossi quando ancora non lo conosceva nessuno. Mi capitava di partecipare a diversi comizi alla settimana tra la Lombardia, il Veneto e il Piemonte. Venne naturale iniziare a conoscersi, ma non fu facile. In uno dei primi incontri misi subito in chiaro la mia autonomia e Bossi non si fidava dei giornalisti. Non so bene cosa gli scattò in testa, ma iniziò a considerarmi in altro modo, anche perché sapeva che io scrivevo ciò che succedeva senza alcun giudizio. Da quando si è ammalato poi non l’ho più visto e seguito».

Come vedi Varese oggi e cosa ti piacerebbe fosse?

«Mi piacerebbe che tornassero gli anni in cui Varese rappresentava molto in tutto il Paese e non solo in Italia, ma nel mondo. Anni in cui si parlava di noi per lo sport, la cultura, l’economia. Non solo Stendhal, ma tanti intellettuali hanno considerato questo territorio di grande bellezza. Qui si sono scritte importanti pagine di storia. Questa atmosfera positiva mi sembra sia andata persa. Non rifletto in modo malinconico con lo sguardo al passato, ma auspico si possa tornare a veder il bello che Varese ha. Qui c’è energia e una forza vitale. Dobbiamo riprendere a crederci».

La biografia di Maurizio Lucchi   –   Il ricordo di Pierfausto Vedani

Marco Giovannelli
marco@varesenews.it

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Pubblicato il 15 Settembre 2016
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