M5S su Accam: “Il futuro dev’essere con una fabbrica dei materiali”

Luigi Genoni e Clauda Cerini ripercorrono gli ultimi avvenimenti legati all'inceneritore sostenendo che "la vera alternativa all'inceneritore è solo la fabbrica dei materiali"

Protesta in regione Accam

In una nota i consiglieri comunali del Movimento 5 Stelle a Busto Arsizio ripercorrono le ultime vicende che hanno interessato l’inceneritore. Claudia Cerini e Luigi Genoni passano così in rassegna gli avvenimenti di questi mesi, ponendo particolare attenzione su quello che viene definito “il veloce accantonamento del progetto della fabbrica dei materiali” che a loro avviso sarebbe “la vera alternativa all’inceneritore”.

Ecco il comunicato integrale

I nuovi scenari che saranno oggetto di discussione nella prossima assemblea, e di cui leggiamo sui giornali, rivelano tutta la loro debolezza in quanto insistono su una strada non percorribile. Infatti, dopo la decisione di Legnano di proseguire con la costruzione dell’impianto dell’umido in Via Novara, pensare di poter avviare un piano industriale per un secondo impianto dell’umido a 1,5km di distanza lo riteniamo quantomeno azzardato.

Anzitutto perchè i Comuni soci sia di Accam che di AMGA (Parabiago, Canegrate, Buscate, Magnago e S.Giorgio S.L. oltre a Legnano) si trovano nella difficile posizione di dover approvare un piano industriale che andrà a discapito della loro società: in quale impianto dovrebbero conferire poi tra i due?
Tra l’altro per rendere economicamente sostenibile l’investimento si dovrebbe servire un bacino di almeno 450,000 abitanti, centomila in più degli attuali abitanti dei comuni di Accam… dove si andrà a cercare il rifiuto? Vogliamo veramente diventare l’area a destinazione rifiuti di tutta la provincia (e non solo)?

Un conto è dire “vogliamo continuare a gestire i rifiuti della nostra comunità in proprio” (sacrosanto), un conto è voler creare un business dei rifiuti, con tutti i rischi economici connessi. E per quanto riguarda il prolungamento della vita dell’inceneritore fino al 2021, proposto dai sindaci di Busto Arsizio e Gallarate per motivi definiti puramente economici, ciò che non viene detto è che a fronte di un possibile esborso dei comuni per la chiusura anticipata, che dovrebbe aggirarsi tra i 2- 3 mln di euro da suddividere tra 27 comuni, sull’altro fronte bisognerebbe mettere il risparmio sulla Tari che i cittadini avrebbero appaltando ad altre società e che si aggira, a conti fatti, tra i 20 e i 30 euro la tonnellata: chiudendo subito si otterrebbero 2 milioni di risparmio solo in un anno senza considerare i continui investimenti necessari su una struttura vecchia e che emette emissioni triple rispetto ad altri inceneritori.

Per non calcolare il danno sanitario rivelato dalla relazione di ATS: 20 nuovi malati cardiovascolari all’anno evitabili, 80 nei soli 4 anni di proseguimento dell’attività dell’inceneritore, andando a ritroso potrebbero esserci già 800 persone che hanno avuto infarti o ictus dovuti all’inquinamento nei 40 anni di attività di Accam. Quale insensibilità ci vuole per considerare queste persone, che hanno un nome e un cognome, come un “piccolo danno collaterale”? E come non pensare ai loro parenti che oggi magari si devono occupare di loro a tempo pieno?

Ciò che a nostro avviso sta distruggendo il futuro di Accam è stato il veloce accantonamento del progetto della fabbrica dei materiali (meglio conosciuta come impianto meccanico biologico) che, realizzabile con un investimento contenuto entro i 10 mln di euro, avrebbe creato la vera alternativa all’inceneritore. Questo passaggio è stato gestito in modo assolutamente incomprensibile dai vertici dell’azienda (il direttore Polleri e l’allora presidente ing. Cremona) affidando quello che doveva essere un progetto industriale di fattibilità al prof. Grosso del Politecnico di Milano, che oltre a non averne mai progettata una, si è dichiarato in più occasioni scettico rispetto a questo tipo di impianti e addirittura scettico rispetto all’importanza di aumentare la raccolta differenziata, promuovendo invece a pieni voti la pratica dell’incenerimento (da lui definita di recupero energetico).

Con un incontro che abbiamo promosso tra i candidati sindaci di Busto Arsizio durante la scorsa campagna elettorale abbiamo portato le evidenze di molte lacune presenti nello studio del prof. Grosso, a partire dalla dichiarazione che una fabbrica dei materiali funziona solo con raccolta differenziata bassa, che trascura il fatto che l’impianto agisce anche sulle frazioni già differenziate selezionando i prodotti per qualità e in questo modo rendendoli più ricercati dal mercato, o che questo tipo di impianto può recuperare solo il 15% dei materiali in entrata, dato anch’esso smentito da impianti già esistenti dove le percentuali di recupero sono decisamente maggiori.

Alla luce di questi due problemi cosa fare oggi? Per noi è chiaro: o si trova un’alternativa ecologicamente sostenibile che permetta la chiusura dell’inceneritore entro un paio di anni, e questa alternativa potrebbe essere solo la fabbrica dei materiali sul sito attuale, o meglio andare a chiusura il prima possibile ricollocando i lavoratori. Con un doppio risparmio: per i cittadini e per il servizio sanitario.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 16 Settembre 2016
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