Nella villa dei ciechi dove i migranti attendono il futuro

La realtà di Villa Letizia, al centro di polemiche di piazza nei mesi scorsi, rappresenta un esempio di convivenza: i richiedenti asilo dissodano i campi e puliscono le strade

Villa Letizia, dove i richiedenti asilo aspettano

Li incontri a metà pomeriggio con vanghe e rastrelli, camminano lenti coi gilet arancioni e gialli lungo la via in salita che si dipana dalla provinciale verso Villa Letizia: il cancello si apre, e loro entrano lungo un vialetto che li vede presto sparire fra le macchie di verde.

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Sono i rifugiati della struttura ex luogo di ricovero per ciechi e oggi quartier generale della cooperativa Agrisol, una trentina di dipendenti che gravitano attorno ad un’attività di sostegno dei richiedenti asilo.

Qui arrivano dal Pakistan, dall’Afghanistan ma soprattutto dalla Nigeria. Prevalentemente adulti, quasi tutti maschi, sono in attesa di una data. È quella della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale: secondo gli accordi di Ginevra i tempi per accedere al verdetto non devono essere superiori ai tre mesi. «Qui a Caravate, però, sono presenti persone arrivate con gli sbarchi dell’agosto 2015, quindi sono qui da oltre un anno e le prime date fissate per comparire di fronte alla Commissione sono fra la fine di novembre e i primi di dicembre» – dicono dalla Cooperativa Agrisol, legata alla Caritas di Como.

E poi? Questa la domanda di fondo che si legge negli sguardi di tutti i ragazzi che si incontrano in questo centro, un “CAS” Centro di Accoglienza Straordinaria, che per ovvi motivi di deontologia, ma anche di buon senso, non fotografiamo.

E poi, si diceva, la Commissione territoriale può riconoscere lo status di rifugiato e in questo caso rilascia un provvedimento che consente al richiedente di ritirare in questura il permesso di soggiorno per asilo che ha una durata di 5 anni ed è rinnovabile ad ogni scadenza.

In questo caso la persona deve imparare un lavoro, cercare di provvedere a se stesso e orientarsi nel paese in cui viene protetto. Qui a Caravate vengono impartite ogni mattina tre ore e mezza di lezioni di italiano, e molto altro. «Queste persone sanno da dove sono partite, conoscono il nome del posto in cui si sono imbarcati e dove sono sbarcati. Poi il nulla. Non sanno dove si trovano, non conoscono il tragitto compiuto per arrivare fin qui, insomma necessitano di informazioni basilari che permetteranno loro di orientarsi nel nostro Paese» continuano dalla cooperativa, legata alla diocesi Lariana per via di quella “enclave” territoriale nella provincia di Varese, quasi tutta ambrosiana, fatta eccezione per i tre vicariati comaschi di Canonica, Cittiglio e Marchirolo.

La Commissione può anche non riconoscere lo status di rifugiato e concedere la protezione sussidiaria, un permesso che ha una durata di 3 anni ed è rinnovabile ad ogni scadenza.

Può esservi anche il caso in cui la Commissione non riconosca lo status di rifugiato rigettando la domanda per manifesta infondatezza: in questo caso contro le decisioni della Commissione territoriale si può ricorrere al Tribunale la sospensione quando ricorrono gravi e fondati motivi.

In questo “limbo”, comunque, i richiedenti asilo si danno da fare. E qui cambia sensibilmente ciò che può accadere a seconda del trattamento ricevuto, e del contesto sociale in cui la realtà di sostegno si innesta.

A Caravate vi sono state diverse manifestazioni legate a movimenti di estrema destra che hanno nei mesi scorsi soffiato sul fuoco. “Parassiti”, si leggeva negli striscioni che si appropriavano del tricolore per veicolare un messaggio politico.

L’integrazione nel tessuto del paese di questi richiedenti asilo ha dimostrato tutt’altro: c’è la collaborazione con l’amministrazione per il decoro pubblico e le pulizie delle strade, c’è il lavoro nei campi: ne hanno dissodato uno e gli ortaggi vengono consumati e venduti. Alcuni residenti in paese si sono offerti volontari per diverse attività. 
Per questo di recente la realtà di Villa Letizia ha lanciato un appello per cercare artigiani in grado di insegnare un lavoro a questi giovani, per assicurare loro un domani.

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 30 Settembre 2016
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