Benvenuta Emanuella, nata dalla mamma in fuga dall’inferno
E' nata qualche giorno fa a Varese la prima figlia di una profuga ospitata in città
L’argomento “profughi” è spesso associato a gruppi di giovani maschi, in arrivo prevalentemente dall’Africa Occidentale, dove in questi anni imperversano bande estremiste molto violente, come quella, famigerata, di Boko Haram, di stampo jihadista.
C’è anche chi si chiede come mai la presenza femminile sia così poco rappresentata. Ma una presenza femminile esiste, e anche a Varese, da qualche mese: «Abbiamo aperto una casa per loro nel mese di giugno – spiega don Marco Casale, che gestisce con la Caritas Varesina, di cui è responsabile, la comunità san Luigi di via Monte Golico – Qui stiamo accogliendo 9 donne, tutte africane: in maggioranza nigeriane, ma ci sono anche donne francofone, quindi provenienti dal Mali e altro. Due di loro stanno aspettando un bambino. Anzi, una di loro ha partorito qualche giorno fa una bambina (il suo nome è Emanuella, ndr) e un’altra è prossima a farlo: possiamo quindi considerarle già mamme».
Un segno di speranza, da custodire con cura: Emanuella, come i prossimi bimbi che nasceranno, è figlia infatti di viaggi lunghissimi in fuga dal terrore, nata in mezzo alle perdite (dei genitori, della propria casa, di tutto ciò che è punto fermo) ma che da qui, dalle prime cure in ospedali come il del Ponte, possono dare inizio alla speranza di una vita nuova. Saprà la città accoglierle come meritano? «Abbiamo visto che le persone che incontrano questa realtà capiscono che queste migranti sono portatrici di una realtà particolare: in qualche modo anche più degli uomini, specie se ci sono di mezzo dei bambini – spiega don Marco – Molte persone per questo si stanno attivando, provvedendo anche alle necessità dei bambini: dalle carrozzine all’ovetto, dai pannolini ai corredini».
Se leggendo questo articolo, qualcuno fosse mosso dalla necessità di fare qualcosa, cosa possiamo dirgli che serve, a queste donne? «Quello che serve veramente è un’attenzione a questa realtà, andando oltre ai luoghi comuni dell’accoglienza: più che di aiuto hanno bisogno di condivisione. Per questo invitiamo a conoscerle meglio, approfondire la conoscenza piu da vicino di cosa vuol dire essere rifugiati politici. La cosa più importante è quindi conoscere, incontrare, parlarci assieme, con i limiti all’inizio che queste possono avere: stanno imparando la nostra lingua, ma sono solo agli inizi: loro si esprimo in inglese o in francese»
Ma come si può fare per incontrare queste profughe, donne che fuggono da paesi dove chi è perseguitato lo è in un modo terribile? «Le faccio un primo esempio: abbiamo avviato una collaborazione con Varese in… Maglia, che prevede che sferruzzatrici italiane e ospiti della comunità si trovino insieme. Cominceranno da settimana prossima, e facendo la maglia insieme sarà possibile per loro dialogare, scambiarsi le esperienze, sapere cosa vuol dire essere donne in Africa e cosa vuol dire esserlo qui. Un modo semplice per conoscersi, ma anche un modo per approfondire la conoscenza dell’italiano, imparare a fare la maglia e partecipare alle finalità di questa bella associazione, che realizza cappellini e scaldacollo per persone in difficoltà. Imparare a fare la maglia servirà loro, tra l’altro, anche a realizzare i corredini dei loro bambini».
Naturalmente, fanno comodo però anche gli aiuti materiali: in questo caso «Quello che serve di più è tutto ciò di cui due neonati possono avere bisogno: soprattutto i pannolini, che mancano sempre e costa un sacco recuperarli».
Per aiutarle nel modo migliore il metodo più ordinato e corretto è tenere lui stesso, che è anche referente della Caritas di Varese, come riferimento. Il suo indirizzo email è: marco.casale@alice.it.
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