“A casa tutto bene”, Brunori Sas presenta il suo nuovo album

Esce il 20 gennaio. Seguiranno gli incontri del cantatuore nelle università d'Italia e il tour di concerti

Musica Generica

A tre anni di distanza da “Vol.3 – Il cammino di Santiago” in taxi, che lo ha consacrato come uno dei migliori narratori della sua generazione, Brunori Sas torna con il quarto album di inediti, in uscita a gennaio 2017 per la sua Picicca Dischi, dal titolo: “A casa tutto bene”, disponibile nei negozi e su tutte le piattaforme digitali.

Il disco (registrato nella casa padronale di una vecchia masseria del 1100 e prodotto artisticamente da Taketo Gohara) è musicalmente più complesso e stratificato, e si muove metaforicamente sulla tratta aerea Lamezia-Milano, quella che Brunori ha percorso spesso durante la stesura dei brani.

Il mood risente così dell’influsso più ancestrale e sanguigno dei ritmi della Calabria, così come dei suoni più freddi e sintetici della metropoli. Largo quindi alla mandole del ‘700 mischiate ai sintetizzatori, e alle tessiture orchestrali che si fondono con i loop e le drum machine. Il risultato è un quadro sonoro di grande coralità, in costante equilibrio tra due mondi apparentemente vicini ma molto lontani.

“Scrivere eleganti ballate sentimentali o ironici ritratti popolari, in questo momento storico, mi sembrava troppo comodo e forse poco onesto.” Il racconto, rispetto al passato, attenua il piglio ironico e i filtri poetici e si fa più sobrio e diretto. Le narrazioni sono spesso in forma di dialogo o composte da espressioni prese in prestito dalla rabbia omofoba dei social, dai locali dei Navigli o dai pub della provincia, dai tassisti romani, dalle vecchiette in sala d’attesa o dalle discussioni alle cene coi parenti.

I temi ricorrenti sono quelli dello spaesamento della generazione di mezzo, cresciuta con i grandi valori dei nonni e destinata a cercare una sua dimensione in assenza di riferimenti. Canzoni che hanno a che fare con la necessità di affrontare le paure quotidiane e con la naturale e pericolosa tendenza dell’uomo contemporaneo a cercare riparo nella comfort zone casalinga, che spesso gli fa ignorare quello che accade fuori. Un disco con poche risposte e tante domande.

Dal 30 gennaio inizierà una serie di incontri con gli studenti degli atenei italiani dal titolo “All’università tutto bene”. Il 30 gennaio Brunori sarà appunto all’Università di Siena, l’1 febbraio all’Università di Cassino, il 2 febbraio all’Università di Ancona, il 3 febbraio all’Università di Camerino, il 6 febbraio all’Università di Cosenza e il 14 marzo all’Università di Padova.

Il 24 febbraio invece, partirà da Udine “A casa tutto bene Tour” nei club e nei teatri di tutta Italia. Uno spettacolo che porterà sul palco il nuovo impianto sonoro di questo nuovo disco, senza però tralasciare i brani storici del cantautore.

DARIO BRUNORI PRESENTA “A casa tutto bene” 

Vivo stabilmente a San Fili, che è un piccolo paesino in provincia di Cosenza. Lontano dalle città, lontano dal giro degli artisti, lontano “dall’ambiente”.Il mio manager ha provato a rivendersi la cosa come scelta radical chic sulla riscoperta dei valori della provincia contadina. Fesserie. È vero, sì, che sto in collina, che dalla mia finestra posso ammirare un panorama strepitoso, che non ho problemi di parcheggio e ansie metropolitane, ma di certo non faccio l’orto, non gioco a carte con i vecchietti del paese, non produco vino e non faccio lunghe passeggiate fra gli alberi di castagno. Semplicemente sto a casa e ci sto bene. 

Tolti i soggiorni a Milano e i giretti che faccio per mestiere, meno una vita normale e anche un po’ noiosa. Monto le mensole a casa di mia madre, cullo i miei nipoti, controllo i social, mi drogo di Netflix, passo nottate a giocare a Risiko. Cose così. C’è di buono, in questa quiete domestica, che ho tanto tempo per riflettere e cercare le risposte. C’è di male che spesso guardo il mondo da dietro una finestra. Una vita poco vissuta, più che altro una vita pensata.  La casa di cui parlo, ovviamente, non è solo quella in cui vivo. La casa di cui parlo è la mia comfort zone, il mondo che conosco e in cui mi riconosco. La casa di cui parlo è tutto ciò che mi fa star bene perché non mi mette in discussione. La casa di cui parlo è quella che mi tiene al riparo da quel che accade fuori. 

“A casa tutto bene” nasce così dall’attrito fra la necessità di uscire di casa e la naturale tendenza al rifugio domestico. Nell’affrontare la stesura del disco ho avvertito la necessità di abbandonare l’isoletta felice delle mie vicende private, raccontate nel mio solito stile (la mia casa appunto) e di occuparmi di qualcosa che riguardasse maggiormente il mondo fuori. Volevo fare un disco maturo, un disco forte, che si occupasse del presente, delle brutture, vere o immaginarie, che ci vengono propinate ogni giorno. Volevo farlo con un piglio serio e sobrio, ma senza risultare reazionario o moralista. Volevo sforzarmi di comprenderla, questa realtà spaventosa, senza cadere nella tentazione di alzare nuovi muri, di delimitare ancor di più il confine fra me e ciò che vedo come altro da me. 

Ho pensato molto all’azione, al fatto che dobbiamo prenderci le nostre responsabilità. Ho quasi quarant’anni, sono cresciuto con i valori dei miei nonni e mi ritrovo a gestire gli hashtag su Instagram. A dirla tutta ero anche un po’ stanco di adagiarmi sulla ballata elegante e romantica, sulla storia d’amore privata e soprattutto di buttarla sempre a ridere, di adagiarmi sul tono brillante, sull’invettiva all’acqua di rose. Volevo che queste fossero canzoni di cuore e non di testa, se mi passate la metafora scontata. Anche per questo motivo nella scrittura ho giocato poco con le parole, cercando di adottare un linguaggio più diretto e spiccio, talvolta volutamente colorito, cercando di tradurre in canzone le sollecitazioni che mi arrivavano dal mondo esterno, rubacchiando e imitando i discorsi fra signore nella sala d’attesa di un medico, i comizi fascisti di un tassista romano, la rabbia sprezzante di un ragazzino ubriaco in un club di provincia, i commenti populisti, razzisti e omofobi che ogni giorno appaiono sui social, ma che spesso trapelano anche dalle discussioni con familiari e vecchi amici.

Ho voluto e dovuto necessariamente calarmi nei panni di un’umanità che istintivamente tendo a etichettare come “altro da me”. Il risultato interessante, in questa sorta di inchiesta in forma canzone, è che mi sono invece trovato spesso a sorprendermi di come quel linguaggio mi fosse familiare, di come quei pensieri venissero fuori in modo così spontaneo, rapido, veloce. 

Di come, insomma, fosse più importante parlare “del mostro in me, più che del mostro in sé”. Ci sono riuscito? A dire il vero non so. Però sono felice del risultato finale. È un disco con poche risposte e tante domande, e in questo mi riconosco. Sono canzoni per lo più scritte sotto forma di dialogo, in un’eterna altalena tra ciò che credo di essere e ciò che sono. Tra ciò che sono e ciò che vorrei essere. Un disco in bilico, senza la pretesa di dare messaggi collettivi. Tra la provincia ferma agli anni ‘80 e la metropoli che ancora incanta. Tra il mondo di pietra dei miei nonni e quello di vento dei figli che un giorno avrò. Fra la Calabria e Milano. Fra Don Abbondio e Don Chisciotte. Sono canzoni nate in casa ma destinate ad aprire finalmente la porta, a scardinare le finestre, a farsi largo fra le tegole del tetto. Sono canzoni sincere, a tratti disilluse, ma non ciniche, o almeno lo spero. Canzoni domestiche di un uomo adulto che desidera affrontare il mondo fuori, anche se tutto questo lo spaventa ancora come un bambino.

Buon ascolto
Dario

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 18 Gennaio 2017
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